frana gyama tibet

Google Earth vs Ministero della Verità

Tutto è ormai sepolto. Anche la verità.

Il governo cinese ha archiviato la grande frana di Gyama di fine marzo sotto la voce “disastro naturale“, la stessa versione fornita nelle prime ore dall’agenzia di stampa di stato Xinhua, l’unica autorizzata ad avere inviati sul luogo dell’incidente.

Luogo dell’incidente mai indicato con puntuale precisione e ripreso sempre dalle immagini tv con una certa vaghezza.

Purtroppo o per fortuna però “al Ministero della Verità” non possono cancellare le immagini di Google Earth.

Da quelle immagini dal satellite la storia della frana di Gyama è molto diversa dal “disastro naturale” che ha inghiottito 83 persone.

Nella progressione delle immagini satellitari si nota come la vetta della montagna da cui è partita la colossale frana negli ultimi anni sia stata “lavorata” e “piallata”.

Il governo tibetano in esilio ha curato un rapporto, che seppur di parte, è ricco di dettagli circostanziati.

C’è la mano dell’uomo nel “disastro naturale”.

Qui sotto due immagini a confronto. La prima inquadra lo stato della montagna nell’estate di 3 anni fa (2010). La seconda evidenzia la portata degli interventi delle escavazioni ad agosto 2012.

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gyama miniera tibet

La Promised Land tibetana

Venerdì scorso un’immensa frana ha interessato la valle di Gyama, 70 chilometri ad est di Lhasa.

Sotto 2 milioni di metri cubi di detriti e sassi sono rimaste sepolte, secondo le stime ufficiali, 83 persone. Dopo cinque giorni sono stati recuperati 59 corpi.

Per dare un ordine di grandezza: nel disastro di Stava precipitarono a valle circa 180.000 metri cubi di fango.

Il governo cinese ha parlato subito di “disastro naturale“. Purtroppo di naturale a Gyama c’è rimasto ben poco.

E’ infatti la sede di una delle più grandi miniere di rame, oro e altri metalli di tutta la Cina e potenzialmente fra le più grandi al mondo.

E’ uno dei simboli materialmente più evidenti di come la Repubblica Popolare consideri strategico l’altopiano per le risorse del sottosuolo.

Gyama, luogo di nascita di Songtsen Gampo fondatore dell’impero tibetano, ha visto nel recente passato tutto quello che si può ritrovare nella sceneggiatura di un film del genere “Promised Land“: inquinamento, grandi affari per i colossi aziendali, spiccioli per i residenti. Solo che questa non è la provincia americana, ma l’infinito Tibet e Hollywood è lontana. A raccontare la storia di questa valle c’è rimasta Tsering Woeser, scrittrice, attivista e blogger.

Tsering ha scritto del fiume “spostato”, dell’inquinamento dell’acqua, dei capi di bestiame morti, della scontri tra han e tibetani, della repressione della polizia, delle briciole che rimanevano ai locali.

<%image(tibet frana miniera.jpg|600|399|tibet frana miniera)%>Poi nel 2007 il governo cinese ha deciso che Gyama doveva diventare un esempio di “miniera verde“. Tutto è finito in mano al colosso statale China Gold International. Ma più che altro il progetto prevede di far diventare questo angolo di Tibet una “miniera d’oro” che in 30 anni deve portare profitti per quasi 4 miliardi di dollari e saziare la fame di materie prime della superpotenza cinese.

Ieri alla riapertura della borsa di Honk Kong le azioni della “China Gold International” hanno perso il 10% del valore. Se ne saranno preoccupati anche i grandi fondi di investimento internazionali partner del governo cinese nella società.

Il Tibet è lontano, ma i soldi sono vicini.