La straordinaria banalità del bene

La guerra era finita, era tornato a casa. S’era messo a fare il ferrivecchi e tutti i soldi che guadagnava se li beveva.

La devi smettere di bere e ti devi curare.

Scappò dall’ospedale perché non gli davano il vino. Lo trovano ubriaco in un fosso.

In un mondo come questo non val la pena di vivere“.

Morì di tubercolosi nel 1952 a Fossano, provincia di Cuneo, dov’era nato 48 anni prima.


C’era un muro da tirare su e lui con i muri ci sapeva fare. La ditta l’aveva portato fin là per quello. Parlava poco, lavorava tanto e bene: “faceva muri dritti, solidi, con mattoni ben intrecciati e con tutta la calcina che ci voleva; non per ossequi agli ordini, ma per dignità professionale”.

Gli capitò un giorno a fargli da garzone uno che al primo viaggio rovesciò tutta la calce del secchio.

Ah’s capis cun gent’ parei“. Che ti aspetti da gente così. Dialetto piemontese in mezzo alla campagna polacca. Roba strana.

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