Baristi 2.0

Si voleva segnalare al gentile pubblico che il qui presente, negli ultimi tempi, ha aggiunto alla lista dei “cagionatori di orticaria e orchite” quelli che solitamente risiedono dietro il bancone.

L’associazione baristi italiani o la libera confraternità dello scodellatore di caffè magari non la prenderanno proprio bene, ma il livello personale di sopportazione nei confronti della categoria tende ad avvicinarsi allo zero assoluto.

Suggerirei, se mi è permesso, una sorta di marchio di qualità da apporre ben visibile all’entrata.

“Assicuriamo che in questo esercizio il barista :”

– non discetta di Islam e di politiche dell’immigrazione.

– non tiene il cappuccio del Ku Klux Klan sotto il banco e forconi-torce nel retrobottega.

– non riempe il bancone di 720 tipi di stuzzichini salvo fulminarti se hai il coraggio di prenderne 2 volte.

– non ti fa lo scanning della retina e il prelievo del sangue quando chiedi la chiave del bagno.

– non sostiene ad ogni piè sospinto che tutti i politici sono ladri, per poi offrire, ogni santo giorno, il caffè gratis all’onorevole.

Ne uccide di più la vasca da bagno

Copertina del Time di questa settimana dedicata ad un lungo articolo su come alle volte ci preoccupiamo molto delle cose sbagliate e poco di quelle giuste.

Villa Stanley e il dolce innominato

<%image(hotel villa stanley.jpg|267|200|hotel villa stanley firenze)%>Mi viene da ringraziare Mariolina dell’ Hotel Villa Stanley. Senza una sua piccola insistenza non sarei andato oltre il secondo, perdendomi un dolce che ce ne son pochi in giro.

Uno pensa che dalle parti Firenze ci si possa fermare alla carne, ed invece.

Se la Cina è vicina

Il ministro Fioroni, sulla scia della vicenda dei video di bullismo in Rete, aveva auspicato “un giro di vite su Internet“, sognando per l’Italia il modello di filtri preventivi della Cina per i contenuti sgradevoli o forse sgraditi.

Come segnala Luca il povero ministro dovrebbe stare più attento, perchè fino a poche ore fa il suo sito personale abbondava di link-spam a siti pornografici.

Va a finire che un giudice lo indaga per omesso controllo.

Ode ad un pezzo di pane e a un po’ d’olio

<%image(sani principi.jpg|780|585|sani principi)%>Se vi capita di passare dall’Umbria, e da Spello in particolare, fate un salto da due simpatiche signore che gestiscono i 5 tavoli e i 20 metri quadri dell’hosteria de dadà.

Vi basteranno gli antipasti.

L’albero della bruschetta

<%image(albero della bruschetta.jpg|770|594|albero della bruschetta)%>Strani ibridi umbri tra ulivi, mandaranci e bruschette

Pensieri nel mezzo dell’acqua

Se prendete una spiaggia ci sarà sempre qualcuno (è una pura evidenza statistica) lì da solo, che guarda verso il mare o l’oceano, con i pensieri puntati al largo. Più facilmente al tramonto o d’inverno, ma anche no.

Se prendete una spiaggia dall’altra parte di quel mare od oceano, troverete qualcuno che fa la stessa identica cosa. Più facilmente al tramonto o d’inverno, ma anche no.

E allora i pensieri di questi due devono incontrarsi per forza là, in mezzo all’acqua.

Chissà cosa si diranno.

Hotel rimini centro. Google bug ?

<%image(hotel rimini centro.jpg|780|585|hotel rimini centro)%>Notavo che inserendo in Google.it (solo in italiano) :

hotel rimini centro

la ricerca impazzisce (vedi immagine)

Per caso capita anche a voi ?

Bar sport e anoressia

L’anoressia ha un andamento ciclico sui media. Oggi pare sia periodo di punta, quindi tocca sentire grandi disquisizioni in materia anche al bar. Pazienza.

A me viene in mente Margherita:

Mi piacerebbe indossare quei bei jeans stretti e bassi che spunta l’ombelico, ma la volta che ci ho provato mi sono scoppiati in autobus e ho ferito tre persone con i bottoni

Indossa biancheria spaiata ?

Che poi se uno ti telefona a pranzo, mentre la forchetta infilza il primo maccherone, per domandarti (anche gentilmente) se con Vladimir Luxuria al cesso ti saresti comportato come Elisabetta Gardini o se di solito indossi biacheria spaiata (giuro lo domandano), allora la licenza di mandarlo affanculo diventa una sorta di diritto naturale.

Cosa che a quanto pare fanno in molti, perchè per tirare su 1.000 risposte, in media a quanto vedo, i sondaggisti devono fare 5.000 telefonate.

Frazioni d’intelligenza

Ebbene sì, pensandoci, certi giorni “l’assioma di Cole” sembra trovare una sua valenza scientifica:

La somma dell’intelligenza sulla Terra è costante; la popolazione è in aumento.

Ricarichi, ma quanto mi ricarichi ?

Si è molto parlato nei giorni scorsi dell’indagine delle authority su costi di ricarica per i cellulari.

Personalmente, da una lettura integrale, le cifre che mi fanno più impressione sono:

1. Ogni anno le compagnie telefoniche intascano 1,7 miliardi di euro di soli costi di ricarica (+iva). Al netto delle spese per la percentuale dovuta ai distributori (tabaccai,banche) e per i costi interni (produrre le carte ad esempio), si mettono in tasca 945 milioni di euro. Puliti.

2. Il credito residuo non utlizzato dagli utenti (perchè è passato più di un anno o perchè si è passati ad un altro operatore) viene incamerato direttamente dalle compagnie telefoniche. Nel 2005 ha toccato quota 56 milioni di euro.

Il magico mondo delle suonerie

No. Se potete, non fatevi domande banali. Spesso le risposte non lo sono affatto.

Quindi, per fare un esempio, non chiedetevi mai e poi mai perchè il vostro vicino di sedile – quarantenne di belle speranze e di non definito lavoro dirigenziale – ritenga molto cool il fatto che ogni volta che ufficio-moglie-amicone compongano il suo numero di cellulare, tutto il mondo debba ballare al ritmo di Shakira.

La risposta, oltre a dover forse scomodare Sigmund Freud in persona, vi costerebbe un viaggio più o meno approfondito nello strano mondo delle suonerie per cellulari.

Se pensate anche solo lontanamente che sia roba da bambocci, ricredetevi.

Vi basti una cifra : 600 milioni di dollari.

E’ la stima del mercato americano delle suonerie per il 2006. Nel 2005 erano 500 milioni, 245 nel 2004, nel 2003 appena 68. Quello che si dice un bel tasso di crescita.

L’associazione dei discografici americani (RIAA) ha istituito quest’anno premi equivalenti ai classici dischi di platino ed oro anche per la categoria suonerie. Oro per la canzone che supera i 500.000 download, platino per quelle sopra il milione, multi-platinum quando si passano i 2 milioni. In quest’ultima fascia sono finite solo quattro canzoni, ma sono 40 in quella platinum e ben 84 in quella gold.

Del resto se uno come Rupert Murdoch a settembre ha sborsato 188 milioni di dollari per comprarsi Jamba, multinazionale del settore, un po’ di carne intorno all’osso ci deve essere.

Anche in Italia.

Siamo o non siamo un paese in cui il rapporto telefonini-esseri viventi è uno dei più alti dell’universo conosciuto ? Potevamo fallire nel mercato delle suonerie ?

In effetti no.

In penisola il 2005 si è chiuso con 280 milioni di incasso, appena 10 milioni sotto le vendite dei cd. Alla fine del 2006 il sorpasso pare assicurato. Rapportate poi il fatto che gli americani sono 300 milioni, mentre noi neanche 60, e avrete le giuste proporzioni del mercato italiano dello squillo personalizzato.

Le pubblicità del settore del resto sbucano dappertutto, anche nelle fasce orarie più costose della tv commerciale nazionale.

E anche noi abbiamo i nostri riconoscimenti. La Siae assegnerà a fine novembre a “Come Stai” di Vasco Rossi il premio per la suoneria più scaricata degli ultimi 12 mesi. Chissà se sono orgogliosi a Zocca.

Monofoniche, polifoniche, truetone, realtone, risponderie, nomerie, regionerie. Chi più ne ha, più ne mette.

Termini tecnici, maledetti neologismi, ma sullo sfondo la verità di un mercato florido, su cui parecchi si sono fiondati e in cui gli attori coinvolti sono molti e tutti a caccia della fetta più grossa. Fetta che a volte scatena guerre inaspettate, di quelle che non diresti.

Negli Stati Uniti a metà ottobre U.S. Copyright Register ha deciso che per le suonerie non servono nuovi tipi di licenze, bastano quelle attuali. Sia che siano monofoniche, polifoniche o veri e propri estratti audio originali.

In soldoni vuol dire che, d’ora in poi, gli autori dei brani da cui viene creata una suoneria per cellulare porteranno a casa 9 centesimi su un prezzo medio al pubblico di 4 dollari.

A volerlo fortemente sono state proprie le major del disco della RIAA, con il sentito disappunto – se volete chiamarlo così – delle associazioni degli autori che nel loro piatto ora si ritroveranno solo le briciole di quei famosi 600 milioni di dollari.

Se oltreoceano a farsi dispetti sono autori e case discografiche, qui da noi le scaramucce per mettersi in vetta alla catena alimentare del mercato delle suonerie hanno altri protagonisti.

E come spesso accade in Italia se tratti di musica e soldi, prima o poi finisci a parlare di quell’acronimo di quattro lettere che va sotto il nome di Società Italiana degli Autori ed Editori.

E’ infatti la Siae il perno di tutto il mercato.

E’ la Siae che rilascia le licenze multimediali. E’ la Siae che intasca i soldi dai venditori. E’ la Siae che li distribuisce agli autori.

Se mai vi passasse per la testa di mettervi in affari sappiate che vi servono subito 3.000 euro da dare in cauzione per la vostra licenza. Poi ogni 3 mesi tirare fuori 500 euro per il preascolto delle suonerie e il 12% sull’incasso di ogni download. E per incasso si intendono sia voci dirette (come la vendita pura e semplice) che indirette (eventuali pubblicità).

Proprio sull’ultima cifra del 12% nasce lo scontro tra la Siae e gli autori da una parte, e i distributori dall’altra.

Percentuale troppo onerosa secondo chi vende le suonerie, molto più alta (il 370%) degli altri paesi europei. E questo solo per monofoniche e polifoniche. Se, come sempre più spesso accade, si utilizzano veri e propri spezzoni di brani di successo, bisogna passare anche dalla cassa delle case discografiche, per i cosiddetti “diritti connessi”.

Sarà anche per questo che molti produttori hanno spostato l’offerta su suonerie che ti chiamano per nome, su squilli che rilanciano pseudotormentoni nazional-popolari o su improbabili accenti regionali: tutta roba extra diritto d’autore che taglia fuori dal gioco autori e discografici.

Ma alla fine della giostra, per quanto sia complicata la struttura del “settore suonerie”, come sempre si deve far di conto con l’attore principale di ogni mercato : il consumatore, ovvero il tuo vicino di sedile.

Lui, il quarantenne di Shakira, ha tre o quattro modi diversi di far finire la suoneria che più gli garba sul proprio cellulare. Ma sia che la prenda dal portale mobile del proprio operatore, sia che la scarichi dal web, sia che telefoni ad numero breve “48 e qualcosa”, si ritroverà a pagare una cifra che mediamente varia tra i 2,4 e i 5 euro.

Una piccola follia consumistica e quasi inspiegabile, visto che canzoni intere si possono scaricare legalmente da sistemi come iTunes al costo di 99 centesimi e trasportarle poi comodamente sulle sempre più capienti memorie dei cellulari di ultima generazione.

Ma così va il mondo o forse potremmo dire che così andava.

Eh sì, perchè in effetti il consumatore può essere anche folle, ma non totalmente. E sopratutto non per sempre.

Dategli un buon motivo per rinsavire (almeno un po’) e scommetteteci, lo farà.

Sopratutto se quel motivo sono i soldi.

E’ quasi inevitabile che in mercati drogati dal marketing, regolati da una dose massiccia di norme e con filiere economiche lunghe uno sproposito, arrivi prima o poi qualcuno che spariglia il gioco e fa saltare il banco.

Forse, per trovare questo qualcuno, oggi è necessario andare in fondo alla baia di San Francisco, là dove l’acqua finisce e comincia un posto che si chiama Sunnyvale.

Lì in California, in mezzo ai quartier generali di grandi multinazionali dell’hi-tech, c’è anche la piccola Phonezoo Communications che a metà ottobre ha fatto partire l’immancabile beta di un servizio in cui si riconoscono tutte le tracce di quello che chiamano il Web 2.0 : contenuti creati dagli utenti, condivisione, gratuità.

Qui però quello che viene creato, condiviso, votato, catalogato e distribuito non sono video o immagini, ma suonerie.

Ognuno può creare online la propria, con suoni suoi o caricando dal proprio hard disk la canzone preferita. Si può lavorare di taglia e cuci sul brano e scegliere se catalogarlo come protetto da copyright oppure di pubblico dominio. In quest’ultimo caso tutti potranno scaricarselo (o inviarlo gratis al proprio numero di cellulare) mentre nel primo, solo chi ha fatto l’upload del brano potrà personalizzare i propri squilli.

La scelta tra “protetto dal diritto d’autore” e libera circolazione è lasciata alla coscienza dell’utente e passa attraverso un solo click. Com’è facile immaginare, in casi come questi, la coscienza è poco propensa a mettersi nei panni di discografici e autori. Del resto basta dare un’occhiata veloce alla liste delle suonerie già caricate e condivise liberamente su Phonezoo: sigle di serie famose, colonne sonore di film, spezzoni di canzoni di successo. Tutta roba marcata con molta spensieratezza con il bollino verde del pubblico dominio.

E’ anche per questo che, nonostante le rassicurazioni di Phonezoo, è abbastanza facile intuire chi sarà il prossimo bersaglio degli avvocati della RIAA e del resto della compagnia.

Ma anche se Phonezoo dovesse essere riportato a più miti consigli, o fallire, o essere comprato proprio dai suoi prossimi nemici, è probabile che la strada sia tracciata.

In fondo è un copione già visto. Da Napster in giù.

Alla fine, il mondo un po’ folle delle suonerie per cellulari troverà il proprio equilibrio e forse qualche fetta di torta in meno.

Ma non rallegratevi troppo.

Il vostro vicino lì accanto vi farà sempre ballare al ritmo di Shakira.

Soltanto che l’avrà pagata un po’ meno.

Domenico Maria, F. e la scuola digitale

Me lo ricordo ancora il povero DM. Non ho mai capito il sadismo parentale di affibbiare ad un ragazzino un doppio nome. Domenico Maria è poi un invito a nozze per adolescenti sadici e assetati di sberleffo. Domenico Maria è un destino segnato.

La statistica infatti afferma che il 99,9% (periodico) di chi all’anagrafe viene iscritto con un doppio nome porta con sè il gene del secchione. Non se ne abbiano a male tutti i Pier Giovanni, i Massimo Maria e i Carlo Alberto (tralascio, per carità di patria, i Vittorio Emanuele). E’ pura evidenza scientifica.

DM, tra l’altro, era uno di quei secchioni un po’ bastardi dentro. La versione di latino ad esempio la metteva al prezzo di 3 panini al crudo. Se volevi il compito di matematica bello che risolto ci lasciavi la merenda di tutta la settimana.

Per fortuna mia e di qualche altra mezza dozzina di caproni c’era F.

F. era una santa e dolce ragazzina che per quasi un quinquennio, passandoci soluzioni sottobanco senza nulla chiedere se non un sorriso, ci ha salvato il didietro da bocciatura certa.

Domenico Maria e F. mi sono tornati alla mente spulciando le pagine del progetto “DiGi Scuola” voluto dal Ministero per le Riforme e l’Innovazione nella Pubblica Amministrazione (mai un acronimo quando serve) e da quello dell’Istruzione. DiGi Scuola ha un sottotitolo impegnativo : “la scuola digitale per gli studenti del nuovo millennio”. Mica bruscolini.

Cosa sia nelle intenzioni questa scuola digitale è presto detto : dotare 3.300 insegnanti di matematica e italiano di 550 scuole del centro-sud (isole comprese) di un computer portatile, di un videoproiettore e di una lavagna elettronica.

E poi, passaggio fondamentale, munirli di voucher.

Magari la professoressa di italiano gradirà tradurre il termine con “buoni acquisto”, ma la funzione in sè non cambia.

I voucher servono per acquistare i contenuti didattici digitali nel fulcro della nuova scuola : il mercato elettronico.

E visto che messa così la questione può sembrare poco terra terra, abbassiamo il baricentro con un esempio.

L’insegnante di matematica vuole spiegare il teorema di Pitagora però trova che l’analogico (lavagna, gessetto e cancellino) sia sorpassato e quindi trasmigra al digitale.

Si collega così, in banda larga (se non fa parte di quel 30% di scuole italiane sfortunate che l’adsl la vede con il binocolo), al “mercato elettronico” e usa uno dei voucher per acquistare un’animazione del teorema di Pitagora (come questa) creata da qualche editore per la nuova scuola digitale.

Il professore irradierà poi alla platea degli studenti, tramite lavagna elettronica e videoproiettore, Pitagora e tutte le ipotenuse del caso.

Quanto costa Pitagora in digitale ?

Per avviare la sperimentazione per l’anno scolastico 2006/2007 sono stati stanziati 26 milioni di euro.

Anche in tempi di finanziarie da vacche magre non sembra una spesa strampalata. Ma se si guarda la cifra con un punto di vista per così di dire ravvicinato, si intuisce il primo dubbio sul progetto : l’oste avrà fatto i conti ?

Ogni scuola ha a disposizione in media tra gli 8.600 e gli 8.900 euro di voucher da spendere in un anno. In totale quasi 5 milioni per i contenuti. Circa 1.500 euro a professore. 3.000 a classe. 150 euro a studente.

Tanto per fare delle proporzioni con il mondo analogico, in Italia la spesa media per i normali libri di testo di ogni alunno delle superiori si attesta sui 300-400 euro (chi più chi meno). Questo per tutti i libri. Non solo per matematica e italiano.

Eh sì, perchè passata la sperimentazione non vorremo mica scontentare l’insegnante di chimica o far passare per il solito sfigato quello di filosofia ? L’ambaradam e i voucher bisogna darli pure a loro, prima o poi.

Moltiplicando quindi i soli buoni acquisto per le 118.052 classi della scuola secondaria di secondo grado e per tutte le materie possiamo raggiungere e sorpassare quota 2 miliardi di euro. All’anno. Solo per le superiori.

Pitagora digitale a regime, una volta finiti i soldi della sperimentazione (magari spillati dai fondi europei), potrebbe risultare piuttosto caro.

Anche in ragione di qualche altra cifra. Quelle sull’edilizia scolastica ad esempio.

Negli ultimi 5 anni il governo italiano ha stanziato per questo capitolo di spesa un totale di 462 milioni di euro. E non è che lo scuole italiane siano così ben messe.

Secondo i dati del Ministero elaborati dalla CGIL il 57% delle scuole italiane non ha il certificato di agibilità statica, il 36% non ha gli impianti elettrici a norma, il 73% non ha un certificato di prevenzione antincendio, il 30% ha barriere architettoniche.

Fuor di cifra e di statistica, lo stato di salute delle scuole italiane lo si può saggiare anche in Rete.

In attesa che arrivi online la promessa “Anagrafe Nazionale dell’edilizia scolastica” (armatevi di pazienza perchè è stata istituita con una legge del 1996) ci si può accontentare di Google.

L’universo scolastico italiano ci può riservare licei scientifici calabresi con i turni per far lezione perchè crolla il tetto o licei artistici fiorentini dove di artistico c’è davvero poco . L’elenco potrebbe continuare a lungo.

Nasce qui il secondo dubbio: se crolla il tetto o piove in aula, il videoproiettore funzionerà lo stesso ?

Comunque, nel caso si trovino i soldi e nel caso la scuola rimanga tutta intera, il progetto potrebbe pure andare, se non fosse per il terzo e conclusivo dubbio : i contenuti.

Girovagando nella banca dati “Multimedia scuola” della Aie (l’associazione italiana editori) si scopre che i contenuti multimediali censiti sul mercato sono circa 1.200 (cd e floppy). Molta roba che risale al 1997 o prima. Floppy che girano solo sull’ avveniristico Windows 3.1. C’è insomma, puzza di muffa. Almeno un po’.

Il nuovo mercato elettronico, c’è da scommetterci, sarà di certo più aggiornato e più completo, ma nascerà già vecchio.

Vecchio perchè non ha capito che il mondo, almeno quello online, funziona se gira in orizzontale e non in verticale.

Vecchio perchè si comporta come se là fuori non esistessero, a portata di studente, cosette chiamate Wikipedia o Google.

Vecchio perchè rifiuta la filosofia della condivisione per far intascare un po’ di diritti a qualche editore certificato.

Sarebbe davvero un’idea tanto balzana vedere sulla piattaforma nazionale contenuti prodotti dagli studenti e scambiati online, oppure i contenuti digitali prodotti dagli editori liberamente modificabili e migliorabili da insegnanti e allievi ?

Gli studenti italiani, oltre a conoscere Pitagora, imparerebbero a produrre in prima persona contenuti, ad approfondire tecniche e ad utilizzare software. Tutta roba non proprio inutile nel mondo del lavoro.

Sarebbe davvero un’idea balzana far digerire al Cipe, al Ministero e agli editori licenze Creative Commons ?

Forse sì, davvero balzana come idea. Perchè a quel punto si dovrebbe abbandonare l’idea di Mercato per quella di Comunità e per un passo del genere ho il sospetto che ci siano dietro le scrivanie giuste ancora troppi Domenico Maria.

Intanto le ragazzine come F. sono finite, molto probabilmente, dietro una cattedra ad insegnare.

In fin dei conti, pensandoci bene, se fosse accaduto l’opposto (F. al ministero e DM in aula) a questi poveri studenti sarebbe andata decisamente peggio.

Il calvario della libertà

Pare che in Mondadori qualcuno sia stato licenziato in tronco perchè, pensando ad un refuso, ha corretto il titolo del nuovo libro di Silvio Berlusconi da “Il calvario della libertà” a “Il calvo della libertà“.

Il poveretto ha provato a giustificarsi traendo anche spunto dalle sacre scritture : “calvario” in latino è il Golgotha aramaico, la collina dove a Gerusalemme venne crocefisso anche Gesù. Letteralmente infatti la traduzione è “luogo del cranio“.

La delucidazione etimologica pare non sia servita.

Avanzi di un articolo n.2

Questa volta gli avanzi rimasti fuori dal piatto dell’articolo “Il magico mondo delle suonerie” sono :

1. La Siae suddivide i compensi tra i vari autori dei brani diventati suonerie grazie ad una specie di borderò excel autocompilato dai venditori stessi. Visto che all’ufficio multimedialità di Siae pare siano in tutto dieci impiegati, è possibile che le ripartizioni siano robetta non proprio scientifica.

2. il prossimo passo del mercato saranno le videosuonerie.

3. ricordate lo slogan nazional-popolare “adesso ridateci la Gioconda” vergato su un cartello improvvisato la notte della finale mondiale (inquadrato-citato da tutte le televisioni patrie) e diventato anche una delle suonerie più scaricate e più trash ?

Beh, quello slogan è figlio dell’inventitiva di questi studenti di Napoli. Ovviamente a loro non è arrivato nemmeno un soldo.

BBC paga, ma non vi montate la testa

Pare che la BBC abbia intenzione di pagare foto e video inviati dagli utenti se di particolare valore.

Un piccolo passo per gli “user generated content”.

Pubblicità contestuale

<%image(pubblicita contestuale.jpg|780|585|pubblicità contestuale)%>Se non è pubblicità contestuale questa.

Ogni attimo può darti un’ispirazione. Pronto ?