La vita nel 2064

C’è l’ultima luce calda del pomeriggio che illumina la cucina e il tavolino blu, in un posto minuscolo chiamato Hile. Cucina di un altro tempo, con i piatti metallo in ordine perfetto sullo scaffale e un fuoco grosso nell’angolo.

Se non fosse che di là c’hanno un frigo LG nuovo di pacca questo potrebbe proprio non sembrare il 2064. Ah sì dimenticavo, il calendario qui è avanti di 57 anni.

Parla fitto e ride di gusto la signora dalla faccia rotonda e felice, parla e ride Ngima, e parla Dorsiij che forse sta tentando di fare il filo alla figlia della padrona di casa. Ma chi lo sa. In verità non ci capisco nulla, cerco d’afferrare qualcosa, ma le mie lezioni di nepali con Ngima sono ancora al “come stai? io tutto bene“.

M’accontento dei suoni e dei sorrisi che raccontano un mondo fuori dal tempo. Un mondo che forse era dei miei nonni, o dei nonni dei miei nonni.

Un mondo che ci si lascia alle spalle. Kathmandu aspetta.

Alba anche accompagnati

<%image(gharopani nepal.jpg|800|600|gharopani nepal)%>Le aquile ti volano intorno sul cucuzzolo di Banthanti. Chissà forse sentono la fatica dei tuoi continui saliscendi. Sì, perchè il concetto di sentiero a mezzacosta pare non esistere. Su di 500 metri, giù di 500 metri nel torrente, ponte tibetano, su di nuovo di 500 metri. Montagne russe a 3 km all’ora.

Ghorepani è una macchia blu. Per gli standard di qui è praticamente una metropoli. Farà forse 500 abitanti. C’è anche una piccola libreria e le bottiglie di coca sembran nuove di pacca. Libri pensati per utenza trekker. C’è anche Messner, forse anche in italiano. C’è la pista polivalente con i ragazzini che giocano a basket e pallavolo (mezzo sport nazionale). Ci si allena bene a 3.000 metri.

Prima d’arrivare ti si paran davanti l’Annapurna South, che da questa parte perde il suo aspetto da pandoro ricoperto di zucchero a velo e ritrova gli spigoli giusti, e il Dhaulagiri, la “montagna bianca”, un’altro componente della famiglia dei 14 ottomila del pianeta terra. C’è la lunga scalinata in pietra in mezzo alla foresta di rododendri. Dicono che in periodo di fioritura sia qualcosa da ricordare.

Ghorepani vive e prospera per essersi inventato il belvedere di Poon Hill, lì sopra di 300 metri. Punto privilegiato per godersi un’alba sul tetto del mondo.

<%image(alba poon hill nepal.jpg|800|600|poon hill nepal alba)%>Lo spettacolo merita di certo, ma credo che l’alba, qualsiasi alba, sia stata concepita, inventata e proiettata per essere sbirciata e gustata da un numero massimo di persone stimabile in 10 unità. Forse anche meno.

La sessantina di esseri viventi che ti ritrovi accanto qui ogni mattina (come minimo) fregano un po’ della poesia. Ma sarebbe un filo egoistico (o un’immensa botta di culo) ritrovarsi qua sopra contandosi sulla dita di una mano.

Quell’oceano di nuvole lì sotto comunque la sua poesia la manterebbe bene anche in compagnia di un reggimento di coreani.

Nepal menù

<%image(momo.jpg|800|600|momo nepal)%>Scovare i tortelli verdi qui, appena sotto Tadapani ultimo angolo di mondo, fa tenerezza allo stomaco ormai di casa col dal bhat. Il dal bhat sarebbe questo piatto di riso bianco circondato da verdure, forse qualche patata e un sughino indecifrato ma saporito. Il tutto da mischiare insieme a piacimento. Un gusto suo devo dire ce l’ha.

Questa specie di tortelli verdi invece si chiamamo momo. Hanno anche la variante di carne. Nome facile, gusto semplice. Ottima soluzione per i pigri di stomaco.

C’è il bidone-stufa al centro della stanza. E’ il primo tentativo di riscaldamento centralizzato avvistato in un lodge ed è anche il centro di gravità permanente. Ti ritrovi così a chiaccherare con il resto del mondo a quindici centimentri scarsi dai calzini messi lì ad asciugare , chissà, forse dal neozelandese.

Fuori il grande prato-terrazza è deserto, dentro il thè fuma tra le mani.

Quello nel Nepal menù non manca mai. Sarà la millesima tazza.

Del resto montagna è singolare femminile

Mi raccontano che giù a Pokhara ci sono le “Tre Sorelle”, un’ agenzia di guide e portatrici esclusivamente donna. Si incontra un numero sufficientemente alto di viaggiatrici solitarie (con solo guida al seguito) da queste parti. Olandesi, australiane, qualche coreana, inglesi, varie ed eventuali.

Pare che il mercato del trekking al femminile abbia i suoi spazi di crescita.

Marta è spagnola, catalana per la verità. E’ in giro qua in Nepal da un mese abbondante. Ci rimarrà un altro po’. In Spagna lavora come assistente ai detenuti in un programma finanziato dalle Ue. Adesso che i finanziamenti comunitari scarseggiano è finita nelle liste di mobilità. Con i soldi del sussidio si paga il viaggio.

Tra un mesetto torna a casa, una firma, incassa e riparte per il Sud Africa.

E’ una di quelle anime particolari ed inquiete che ritrovi spesso viaggiando.

Prendi ad esempio Sebastiano. E’ uno dei pochissimi italiani (bastan le dita di una mano) incrociati qui. Ci sta da 5 mesi in Nepal, altri 5 mesi di sicuro. I suoi hanno mandato Angela, sua sorella, a vedere se è ancora vivo e come procede quella tesi sullo sciamanesimo che sarebbe il motivo della trasferta.

La tesi non si sa come proceda, ma Sebastiano ha imparato a parlare un po’ di nepali, a mangiare con le mani (come usa qui) e già gli hanno appioppato un nomignolo . Si trova parecchio a suo agio. Ho come l’impressione che a i prossimi 5 mesi non gli basteranno e che ai genitori per vederlo toccherà abituarsi al fuso orario.

Un mondo un po’ più sherpa

C’è questa cosa delle parole che cambiano.

Prima di partire per un viaggio le hai messe lì. Sembra un buon posto, comunque il posto giusto, con un suo perchè.

Sherpa ad esempio. Non è micca come quando stavi sul sussidiario. Sherpa non vuol dire portatore. Sherpa è una etnia, un popolo di poche decine di migliaia di esseri umani che viene da lassù, dalle valle del Khumbu, sotto la montagna più alta del mondo.

Ecco, quando sei partito, “sherpa” l’hai piazzato lì, in quei pochi o tanti centimetri quadrati di sicurezze da portarti dietro.

Poi, succede che sherpa diventi qualcos’altro. Diventi la faccia sempre sorridente e rassicurante di Ngima, del suo parlar piano e del suo contare con il pollice. Diventi la gentilezza e l’ospitalità quasi imbarazzante di questi altri 5 ragazzi sherpa (Dorsij, Khami, Danaru, Pasang, Ghasel, scritti come si pronunciano) che salgono e scendono con te, con il doppio o il triplo del peso, magari con i sandali o le scarpette da ginnastica. E tu un po’ scemo ti senti, con gli scarponi pesanti e i tessuti ipertecnologici.

Sherpa diventa quel “dormito bene stanotte ?” che non manca mai alla mattina. Diventa il fischiettare lungo il sentiero e quel “tapum tapum tapum” che Ngima (Nima) infila di soppiatto nel coretto alpino improvvisato. Diventa il piacere, prima che il dovere, di contribuire come si può alla propria comunità.

Diventa un modo di guardare e vivere il mondo con un tasso enorme di rispetto per l’uomo e per la natura.

Sui libri avevi trovato una definizione, sui sentieri hai forse trovato un amico.

Un mondo un po’ più sherpa di certo non guasterebbe.

Campo base

<%image(Annapurna Base Camp 2007.jpg|800|536|Annapurna Base Camp 2007 italian expedition)%>All’inizio ti affidi a due metri scarsi illuminati dalla pila sulla fronte per mettere in fila i passi. E’ lenta ad arrivare l’alba all’Annapurna Base Camp. Lenta sì, ma non come te. Perchè ad una certa quota le corse a perdifiato non sono convenienti e anche se il campo è lì – sembra lì – che ci vuole – sei arrivato, meglio prenderla con calma. Qualche foto. Poi vediamo di sbrigarci che ci si gela il culo.

E’ deserto il campo base. Solo un gruppetto di coreani in discesa. Ordinati e composti come sempre. Ma io questi cappellini stile giungla quassù, non li ho ancora capiti.

Della neve qui solo il riflesso, con i ghiacciai che si tengono a buona distanza.

Non è davvero un bel segno se anche qui siam messì così. Appena di là, in Tibet, dicono che sia uno degli inverni più caldi di sempre. Questa palla che chiamamo Terra si sta riscaldando per davvero.

Da qui il permesso delle autorità nepalesi per salire più su è per 4 persone.

Ma andranno solo Nicola e Daniele.

Intanto c’è la foto di gruppo da fare, lì in mezzo alle preghiere che sventolano e davanti al mucchio di sassi che ricorda Anatolij Bukreev.

Lui è’ ancora da qualche parte là in mezzo, catturato il giorno di natale del ’97 dal respiro dell’Annapurna.

Un posto nel mondo

<%image(machapuchare.jpg|488|650|machapuchare nepal)%>Quota 3.700. Il Machapuchare Base Camp è un “base camp” anomalo. Di qui non parti per la vetta. Il Machapuchare è cosa sacra. Inviolabile. Nessuno può salire. Nessuno ci si è mai seduto sopra del tutto a questa montagna che anche da qui sotto mantiene tutta la sua potenza e quel non so che di eleganza.

Non è male, in fondo, pensare che esiste un posto nel mondo che l’uomo non può vendere, non può comprare, non può sfidare, non può calpestare, non può sfruttare, non può inquinare. Un posto semplicemente da rispettare. Quanti ne esistono di posti così ancora ?

Nel tavolone unico dei lodge, lungo e largo quasi la stanza, dopo una certa quota ci trovi le coperte attaccate di lato e sotto i piedi la sensazione di vuoto.

<%image(zuppa sherpa.jpg|800|600|zuppa sherpa nepal)%>E’ che in effetti il vuoto c’è. Giusto una fossa per infilarci questi lampadoni a cherosene che ti scaldaneranno le gambe. Sempre che non te le strinino. Ma con certe temperature è un rischio accettabile, che qui si cena alle sei con piumino e berrettone, e il fiato lo vedi uscire bene.

La zuppa sherpa d’occasione vale comuqnue tutta la salita.

E domani c’è da prendere d’anticipo il mattino.

Fattela scappare

La valle è stretta, più stretta di quel che puoi pensare. Le pareti alte sempre delle montagne quasi ti si chiudono adosso. Scuro da matti, perchè neanche il bagliore della luna si può infilare e il cielo sopra è praticamente una striscia. Tu con i piedi per terra e la faccia per aria.

Per dire: è un po’ come stare sotto una coperta e sbirciare da uno strappo sottile questo devastante numero di stelle, perchè qui in effetti problemi di inquinamento luminoso non ce ne sono. Ve lo assicuro.

Poi se capita anche che dallo strappo passi una stella cadente grossa così, beh, si può affermare, con una certa approssimazione, che è la pisciata notturna più fortunata della vostra intera esistenza.

Himalaya Hotel, italian style

<%image(himalaya hotel.jpg|800|600|himalaya hotel italian style)%>Quota 3.000. C’è zuppa d’aglio all’Himalaya Hotel e una chitarra. Strani abbinamenti.

Non è facile spiegare cosa s’intende in Nepal per “lodge“. Tendenzialmente è una via di mezzo tra un rifugio di montagna e un bed and breakfast. Ognuno c’ha la sua cameretta, il posto più caldo è la cucina, ma in verità forse il posto più caldo è all’esterno visto che anche dimenticando la porta aperta una gran differenza non fa.

La teoria elaborata nel corso del cammino è che più aumenti di quota, più i cessi dei lodge peggiorano e la coca cola aumenta di costo. Eh sì, perchè anche qui, a qualsiasi quota arrivi, quelli del reparto distribuzione di Atlanta una bottiglietta l’hanno fatta arrivare. Spesso con un mulo, molto più spesso sulla schiena di un povero disgraziato. Visto l’impolveramento è possibile, se proprio lo desiderate, che la vostra coca cola sia scaduta da un decennio. Ma per la fatica che è costata dovreste pagarla 100 euro, non 100 rupie.

Nei doko (ceste di bambù piazzate sulla schiena) ci vedi portare un po’ di tutto. Carburante, stoviglie, pannocchie, rifornimenti. Anche la nonna. Giuro. Avercene di nipoti così, che le salite micca scherzano. E nemmeno le discese.

Il torrente di sotto si fa sentire. A spanne durante il monsone questo qui porterà via il mondo. Ma a queste montagne stasera tocca pure sentire il rumore di qualche stonato italiano.

Nigma, il nostro angelo custode qui (si pronuncia Nima), ascolta e sorride.

Di lui e dello straordinario popolo sherpa, vi dovrò parlare prima o poi.

Meglio prima.

La febbre del sabato sera

Uno può poi rimettere in fila i sabati sera più stravaganti dei propri trent’anni e rotti di vita e inserirci da oggi quello passato a Sinuwa, ultimo avamposto abitato prima che cominci il percorso per l’Himalaya Hotel e poi per il campo base del Machapuchare.

I trenta della proloco locale, ovvero l’intera popolazione di Sinuwa, cantano e ballano. E tu non puoi che finirci in mezzo. Ridere, divertirti, ma credo soprattutto far ridere.

Non pensate, vi prego, agli spettacolini messi su nei villaggi vacanze. Questo qui è un altro mondo. Forse un altro universo.

I soldi che volete lasciare, se vi garba, servono alla comunità per tenere in piedi luce elettrica e sentieri, perchè qui del governo non arriva nemmeno l’ombra. In cambio vi toccherà il discorso di ringraziamento del “sindaco” locale: “il sarò breve” vale un fico secco a tutte le latitudini.

E seppur la musica di qui ha per le tue orecchie occidentali suoni buffi e tempi lunghi, ti riscoprirai il giorno dopo sul sentiero a canticchiare inventando parole.

Maledetto ritornello.. rasham firiri.. rasham firiri..

Casa discografica nepalese

Alle macchine fotografiche digitali ci sono più che abituati. Ai trekker magari scroccano anche qualcosa per lo scatto. Quello che li spiazza è il registratore.

Tiri fuori, clicchi record, imprimi la tua voce “unoduetre prova“. Gli occhi si sgranano, i sorrisi si allargano. Hanno capito il gioco.

E così sullo spiazzo di pietra che si scalda al sole, in attesa del pranzo, ti ritrovi la squadretta dei piccoli nepalesi tutti intorno a cantare le canzoni di scuola e a risentirsi con stupore un attimo dopo, lì dentro il baracchino degli italiani pallidi.

Stupore che si fa immenso quando Monica da brava infermiera estrae dallo zaino l’aggeggio per misurare la pressione. Tutti in fila con il braccino magro magro teso, per quella che è forse la loro prima visita medica.

I sorrisi dei bambini sono la cosa più preziosa che potete riportare a casa da questa terra.

Di certo.

L’assenza e l’Annapurna

<%image(annapurna guesthouse.jpg|450|600|annapurna guest house Ghandruk)%>Dio perdoni chi ha pensato, progettato e costruito l’Annapurna Guest House a Ghandruk. Vorrebbe fatto brillare tutto all’istante, per ridare, a questo paesino tutto di sassi appoggiati uno sull’altro, la bellezza totale che ha.

Ma hanno la doccia calda qui e forse stasera si può sorvolare sulla vista devastata dell’Annapurna South, il primo ottomila della mia vita, lì davanti a me in carne, sassi e ossa.

<%image(tramonto annapurna south e machapuchare.jpg|800|536|annapurna south machapuchare tramonto)%>La luce, quella dell’uomo, stasera non arriva. La luce, quella naturale che sia fornita da Dio, Budda o chi altro non so, basta e avanza. Perchè questo tramonto in parole non ve lo posso davvero spiegare. Vi toccherà venire a controllare di persona.

E quando capiterete qui, quello che forse noterete di più è l’assenza.

L’assenza del rumore di qualsiasi auto, motore o accidenti vario. Tutto quel sottofondo a cui sieti abituati l’avete lasciato molte valli più in giù.

L’assenza di una televisione accesa.

L’assenza di un mondo che va in fretta.

<%image(notturno annapurna south.jpg|800|536|notturno annapurna south ghandruk)%>Non vi rimane che accendere le candele, guardarvi in faccia, ridere, sorseggiare il thè, buttare giù la zuppa di riso, chiaccherare, ricordare la bambina che oggi più in basso durante la salita si innamorò del bianco così bianco del rosario buddista di Veronica e del bianco così bianco del suo viso, digerire il tibetan bread e la zuppa d’aglio del pranzo, uscire e stroppiciarvi gli occhi davanti al cielo stellato e alla luna nepalese.

Poi chiudere gli occhi. E un attimo prima di addormentarvi sperare che un angolo di mondo così, sopravviva. Non solo nei vostri ricordi.

(prima che mi intenti causa, il copyright delle ultime due foto è di mio fratello Nicola)

Rivoluzione con ricevuta

<%image(tassa maoista.jpg|790|481|presidio maoista con tassa)%>Susan non ha trent’anni, i capelli ricci e gli occhi chiari. Viene da Melbourne. Gli australiani sono fra i pochi che incroci sui sentieri del Nepal in questa stagione. Bassa. Bassissima stagione.

Il verde non sarà quello intenso d’autunno o di primavera ma c’è molta meno ressa e posti migliori per mangiare e dormire a prezzi stracciati.

Birethanti è una delle porte d’ingresso al diversi percorsi di trekking che ruotano intorno alla catena dell’Annapurna. Quattro case buttate lì, riconvertite al turismo di montagna.

Di là dal ponte hai appena lasciato “un contributo” di 100 rupie al giorno al banchetto scalcagnato con bandiera rossa sventolante. Il ragazzino maoista a presidio ti rilascia regolare ricevuta. Quando si fa sera sbaracca e si ritira verso casa.

Anche l’ortodossia comunista, in Nepal, ha tempi e modi tutti suoi.

Susan insegna economia all’università. Ha girato parecchio. Moltissima Asia, un po’ d’Europa, per via del doppio passaporto inglese, e anche l’Italia. Ci si scambia quattro chiacchere, diverse impressioni e qualche battuta.

Lei è alla fine. Tu sei all’inizio. Ti racconta delle migliaia di gradini che t’aspettano. E poi ancora di altri gradini. E di discese e di risalite.

Di come in fondo si faccia una fatica bestia, ma di come altrettanto in fondo ne valga la pena.

Una giornata particolare

Una giornata particolare ieri per il Nepal. Dopo 11 anni i Maoisti ritornano in parlamento.

Tutti vestiti di grigio. Stoffa ordinata all’ ultimo momento racconta il Kathmandu Post.

Nelle strade qualche poliziotto in piu’ e poco altro. Questo passaggio storico per il Nepal (sospese tutte le funzioni e proprieta’ del Re fino alla promulgazione della nuova costituzione) nella vita di tutti i giorni non si nota un granche’.

Si nota di piu’ la voce del brahamino dall’autoparlante. Sono le 5 del mattino. Andra’ avanti tutto il giorno. E’ festa Indu’ oggi. E davanti ad ogni porta un piatto con cibo per i defunti della casa.

Forse un paese un po’ piu’ sereno da oggi. Lo meritano.

Metti una sera a Rimini in Nepal

Pokhara sta a 200 km da Kathmandu. La raggiungi con una strada che i nepalesi chiamano,con un po’ di enfasi, highway.

Della autostrada non ha, in effetti, niente. Nemmeno la riga nel mezzo.

Partendo la mattina da Kathmandu si incrociano centinaia di camion Tata supercolorati che portano dall’India tutto quello che puo’ servire. Consiglio di viaggio : l’importante e’ non finirci contro.

Di frontali durante il viaggio ne conterete circa un paio. Piu’ una innumerevole serie di guasti, accidenti, riparazioni a cielo aperto e stop improvvisi non si sa bene perche’. Mettevi il cuore in pace e arrivate sani e salvi a Pokhara, una specie di Rimini nepalese.

Gli occidentali finiscono quasi tutti sul quartiere in riva al lago. Una serie infinita di ristorantini tendenza etnica, negozietti con tutto il falso d’autore a prezzi stracciati per il trekker provetto.

Eh si’ perche’ Pokhara e’ la porta d’ingresso per l’Annapurna Conservation Area e lassu’ c’e’ il Machapuchare, la montagna sacra.

Ma questa e’ un’altra storia. Una storia che cerchero’ di raccontare nei prossimi giorni.

Per adesso namaste, a tutti, di cuore.

Kathmandu in the sun

<%image(kathmandu porta tutto.JPG|852|1136|kathmandu porta tutto)%>Maniche corte oggi sul terrazzino su Durbar square. Un sole piu’ che tiepido che cerca di bucare lo smog che ti rimane in gola.

Se un giorno vi capita di finire qui, fate quello che c’e’ da fare. Vedete quello che c’e’ da vedere. Poi pero’ mollate le guide turistiche e vagate in mezzo a questa citta’ gustandovi i visi e i colori di tutta questa gente. Camminate, camminate e camminate ancora.

Vi sembrera’ impossibile ma sfidando le regole delle probabilita’ nessuno vi investira’ e scoprirete che ci sono tre cose che un nepalese non puo’ mancare di fare nel corso della sua vita: vendere di tutto, portare sulle spalle ed in testa carichi impossili e suonare il clacson all’ impazzata.

Poi ci sono i sorrisi e i pianti dei bambini. Ma quelli ovunque andiate per il mondo non cambiano. E in fondo e’ una buona cosa.

Kathmandu vieni anche tu

Ore 18.45 Kathmandu. Li da voi piu o meno le due del pomeriggio.

Interno giorno. L’internet point e’ scassatissimo ma i ragazzini che lo gestiscono fantastici.

Basta il viaggio dall’aereporto molto naif di Kathmandu alla guesthouse in mezzo alla baraonda di Thamel per prendere una botta di vita di questa citta’ incredibile.

Difficile mettere insieme i primi pensieri dopo lo sballottolamento tra aerei e aereporti durato su per giu’ … non mi ricordo nemmeno piu’.

E allora vi metto in fila solo qualche parola o qualche immagine in parola.

Moto, tante moto. Indiane, con quel gusto anni settanta.

Sulle moto tanti matti, e una ragazza sul sellino di dietro seduta di lato. Elegante e bellissima.

Corvi, una marea di corvi. E piu’ in alto a planare dei rapaci grandi un mondo.

Tanta roba da montagna a prezzi ridicoli. La Cina e’ vicina. Meglio se venivo nudo.

Generatori puzzolenti e candele che qui pare che i blackout siano una tradizione giornaliera.

E poi facce bellissime.

Le prime impressioni sono sempre quelle che contano, e a me questa prima impressione di kathmandu non dispiace affatto.

Ora a cena. Per adesso, namaste ragazzi.