Grecia e suicidi: fact checking

Non fare la fine della Grecia” è un argomento che in questi anni i governi italiani (politici e tecnici) hanno agitato spesso e volentieri davanti all’opinione pubblica prima di varare manovre o imporre sacrifici.

La Grecia è diventata suo malgrado la metafora più efficace dell’orlo dell’abisso, il confine ultimo tra salvezza e disastro.

E’ successo anche ieri quando il Presidente del Consiglio Mario Monti ha evocato un numero: 1.725.

A differenza di altre occasioni, l’economista Monti non stava parlando di prodotto interno lordo, di tassi di disoccupazione, di debito pubblico. Stava parlando di morti.

Di più, stava parlando di suicidi.In queste settimane in Italia il racconto di quelli che potremmo chiamare “suicidi per crisi” è uscito dalle pagine della cronaca di provincia per finire nel dibattito pubblico e politico. E’ successo, come accade spesso nel nostro paese, in un modo curioso e superficiale, con ampia citazione ad esempio di dati che si riferiscono al più tardi al 2010.

Per Monti 1.725 è il numero di suicidi causati dalla crisi in Grecia, una drammatica conseguenza che in Italia possiamo e dobbiamo evitare. Peccato però che 1.725 è una cifra inesistente.

Molto probabilmente il Presidente del Consiglio si riferiva ad un altro numero: 1.727. Un numero che ha una sua storia e un suo significato che si può raccontare brevemente.

Nel settembre 2011 il deputato greco Prokopis Pavlopoulos ha depositato un’interrogazione parlamentare per sapere dal governo quale fosse stato il numero di suicidi nel 2009,2010 e 2011.

Il Ministro dell’Interno gli ha risposto a gennaio 2012. Il testo originale si può trovare spulciando il sito del parlamento ellenico ed è questo. In sostanza 1.727 è il numero complessivo dei suicidi e dei tentati suicidi avvenuti tra il 1 gennaio 2009 e il 10 dicembre 2011. Tre anni.

Sono tutti suicidi e tentati “suicidi da crisi” ?

<%image(suicidigreciadati.jpg|512|273|suicidi grecia dati)%>Konstantinos Fountoulakis fa il professore di psichiatria all’università di Salonicco. Lo scorso marzo ha pubblicato su Lancet (rivista medica internazionale) uno studio dal titolo “Health and the financial crisis in Greece”. In base ai dati ufficiali disponibili (vedi tabella) le conclusioni sono che non è dimostrabile al momento un collegamento causale diretto tra crisi economica e suicidi e che le analisi di giornali e televisioni sono “premature overinterpretations”.

Perchè il suicidio è un avvenimento drammatico, complesso, multifattoriale. E forse sarebbe meglio evitare di utilizzarlo come argomento politico estemporaneo, buttato lì in una conferenza stampa. E se proprio lo si vuole usare, farlo con le dovute cautele e con un po’ di precisione. Perchè in fondo si parla di vita e di morte e non di spread e btp.

Nel 2010 i suicidi e i tentati suicidi in Grecia sono stati 622, in Italia 6.149.

Tenendo conto della popolazione e di una sottostima dei dati ellenici (per questioni culturali) l’Italia ha un tasso di suicidi e tentati suicidi pari al doppio.

Ad Atene forse potrebbero dire: “non fare la fine dell’Italia”.

Crisi e suicidi (infografica)

Premessa doverosa: le storie e i dolori legati ad un suicidio non si possono annullare in una fredda tabella di statistiche. I dati però possono aiutare a capire meglio i confini tra percezione e realtà.

In queste settimane i suicidi connessi alla crisi economica sono usciti dalle pagine di cronaca di provincia per finire nei dibattiti giornalistici e televisivi, fino ad arrivare nelle aule del Parlamento. Antonio Di Pietro qualche giorno fa ha tirato in causa direttamente la coscienza del Presidente del Consiglio, sui cui peserebbero queste tragiche morti.

Per capire se siamo di fronte ad un fenomeno sociale drammaticamente straordinario per il nostro Paese è necessario farsi qualche domanda.

Quante persone si tolgono la vita in Italia ?

Gli ultimi dati ufficiali dell’Istat si riferiscono al 2010 quando si sono registrati 3.038 suicidi e altri 3.101 sono stati tentati.

<%image(suicidi e tentati totali 2001-2010.jpg|646|600|suicidi italia)%> <%image(suicidi e tentatati 2001-2010.jpg|648|600|suicidi causa crisi italia)%>

Quanti di questi suicidi sono avvenuti per motivazioni economiche ?

I suicidi vengono catalogati in base a quanto scritto nei rapporti delle forze dell’ordine. Nel 2010 le “motivazioni economiche” hanno riguardato 187 casi di suicidio e 245 di tentato suicidio. Una percentuale minoritaria. La cifra assoluta è però da approssimare in eccesso perchè circa un terzo di tutti i suicidi non trova nei documenti ufficiali una ragione specifica.

<%image(rapporto suicidi totali ed economici.jpg|843|600|suicidi motivi economici)%> La crisi economica ha fatto aumentare i suicidi in Italia ?

Sì e no. Se si guardano i dati disponibili degli ultimi 10 anni (2001-2010) si nota che i suicidi avvenuti (e quelli tentati) rimangono più o meno costanti nel tempo. Nel 2008 e 2009, periodo di profonda crisi economica i suicidi totali sono inferiori ad anni economicamente più floridi come il 2003 e 2004. E’ vero invece che nel 2008 e 2009 sono drammaticamente aumentati i suicidi legati alle “motivazioni economiche”.

<%image(andamento suicidi.png|642|600|suicidi crisi economica)%> E oggi ?

Non ci sono dati ufficiali nemmeno per il 2011* e quindi per analizzare questi primi mesi del 2012 bisogna scorrere le rassegne stampa. Un metodo senza un’affidabilità certa ma che può almeno dare un’idea di massima: probabilmente il 2012 non vedrà aumentare il numero di suicidi rispetto agli scorsi anni e allo stesso tempo potrebbe registrare un numero inferiore al 2009 per quelli con motivazioni economiche.

In tutti i casi, sempre davvero troppi.

*gli unici dati ufficiali sono quelli dei tanti morti suicidi in carcere: 66.
Sullo stesso argomento:

Grecia e suicidi: fact checking

Il cattivo giornalismo sui suicidi

Giornalista o boscaiolo ?

Un paio di “ricerche” uscite in questi giorni negli Stati Uniti :

– tra i dieci peggiori mestieri fa la sua comparsa il giornalista. Quasi quasi peggio del boscaiolo.

– tra le dieci “industrie morenti” degli Stati Uniti ottima prestazione ( si fa per dire) degli editori della carta stampata.

Mentre a queste latitudini si continua a discutere di Ordine.

Mediaset.com: guida galattica per ingenui

La Wipo non è esattamente un covo di rivoluzionari. Del resto un’istituzione che si chiama “Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale” con tutte quelle maiuscole potrebbe mai esserlo ?

Nel 2011 negli uffici della Wipo hanno esaminato 2.764 dispute su nomi di domini . Quasi sempre sono grandi aziende famose che cercano di impedire l’uso del proprio marchio negli indirizzi internet in giro per il mondo a perfetti sconosciuti. Quasi sempre (nel 90% dei casi) la Wipo ha dato ragione a Golia e non a Davide.

Poi è arrivata Mediaset che la scorsa estate si è scordata di rinnovare il dominio mediaset.com che è andato all’asta e a settembre è finito nelle mani della Fenicius LLC, società del Delaware.

A Cologno Monzese non l’hanno presa bene e sicuri del fatto loro ad inizio novembre hanno mandato avanti gli avvocati prima a Ginevra e poi, ad abundantiam, anche alla nona sezione del tribunale civile di Roma.

A Ginevra l’azienda di Berlusconi ha avuto poca fortuna. Ci sono infatti tre condizioni strettamente necessarie da soddisfare per ritornare in possesso di un dominio:

– il nome deve essere identico o molto simile al marchio.
– si deve dimostrare che chi ha registrato l’indirizzo del sito non ha alcun diritto o legittimo interesse a tenerlo.
– si deve dimostrare la “cattiva fede” del registrante.

Senza dimostrare anche una sola di queste condizioni, il dominio rimane dov’è.

Per gli esperti di Ginevra Mediaset non è riuscita a portare le prove della cattiva fede e a quel punto non si sono messi nemmeno ad analizzare se il signor Didier Madiba della Fenicius LLC avesse diritto o legittimi interessi a tenersi mediaset.com.

Poi oggi, due mesi dopo, è arrivata la decisione del tribunale civile di Roma contro Madiba e la relativa “inibizione all’uso del nome e del dominio mediaset.com e 1.000 euro di penale per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento“.

Decisione che dal punto di vista pratico non pare avere alcun valore (sito registrato negli Stati Uniti da una società degli Stati Uniti, registrazione convalidata dall’agenzia Onu per la proprietà intellettuale) ma che Mediaset saluta con un roboante comunicato stampa che si conclude con queste parole:

..ciò non toglie che la materia sia diventata un’autentica giungla da disboscare. La strada giudiziaria non può essere la soluzione: richiede alle aziende investimenti economici e intellettuali e contribuisce a intasare la giustizia civile. Ormai il problema ci sembra urgente e lo segnaliamo alle autorità competenti“.

E’ abbastanza evidente, anche ai più ingenui, che Mediaset qui non parla più solo di domini ma sta tirando la volata al tanto desiderato provvedimento dell’Agcom sul tema del diritto d’autore su internet.

E a questo punto forse Didier Madiba non è l’unico che si deve preoccupare.

La parabola di Greg Mortenson

Ieri Steve Bullock (Attorney General del Montana) ha reso pubblici i risultati dell’indagine durata un anno sulla vicenda di Greg Mortenson e del Central Asia Institute.

Il risultato è che il CAI dal prossimo anno dovrà dotarsi di un nuovo consiglio di amministrazione composto da sette membri nuovi di zecca. Di questo consiglio non farà più parte Mortenson che rimarrà come dipendente dell’associazione.

In totale l’autore di “Tre tazze di tè” dovrà restituire al Central Asia Institute 980.000 dollari per spese di viaggio e diritti sui libri.

Visto che 420.000 li ha già versati nel 2011, il conto si riduce a 560.000 dollari che Mortenson però oggi non ha.

Gli sono stati concessi tre anni di tempo e dovrà ipotecare le sue proprietà.

Rimettiamoci la maglia, i tempi stanno per cambiare

E’ partita la campagna dell’industria video-musicale per ottenere dall’Agcom (in scadenza) l’approvazione del regolamento sul diritto d’autore online.

A quanto pare la strategia prevede, oltre ad un corposa attività di lobbying a livello governativo e parlamentare, anche la conquista “dei cuori e delle menti “ a colpi di spot.

Se qualche anno fa si puntava sui toni intimidatori nei confronti dei consumatori (“scaricare è come rubare”) oggi si assoldano i bei nomi della musica leggera e d’autore italiana e si sceglie come bersaglio grosso quei “motori di ricerca e social network” che si opporrebbero al varo della normativa e ucciderebbero la cultura e la creatività.

Caso vuole che lo spot sia stato caricato e diffuso dagli autori su uno di questi efferati killer della cultura meglio noto come Youtube.

Detto questo, a me vedere Franco Battiato leggere i gobbi con le sciocchezze colossali scritte e ripetute da anni dai consulenti dell’industria audio-visiva ha messo un po’ di tristezza. Un po’ tanta.