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Il lato sbagliato dell’Everest

A Venezia ad aprire le danze arriva “Everest” con il 3D, un cast di grandi nomi e con la sceneggiatura firmata da gente abituata alle serate dell’Academy Awards come Simon Beaufoy (The Millionaire e 127 ore) e William Nicholson (Il Gladiatore). La storia è quella, arcinota nel mondo dell’alpinismo, sulla tragedia avvenuta nel maggio 1996 sulla montagna più alta del pianeta. Jon Krakauer, aggregato dalla rivista Outside ad una delle spedizioni coinvolte, ci scrisse prima un lungo articolo e poi un libro di grande successo “Into Thin Air“.

Anche gli altri protagonisti sopravvissuti a quei giorni sulla montagna pubblicarono libri, in totale una decina, tra di loro Anatoli Boukreev (che morirà l’anno dopo sull’Annapurna) e Beck Weathers che verrà dato per morto e spacciato almeno un paio di volte. Parecchi di questi libri si possono comprare su Amazon usati a 1 centesimo.

Un nome che probabilmente non troverete nel film è quello di Tsewang Paljor, un alpinista indiano che morì nella stessa tempesta del 10 maggio 1996: scalava insieme ai suoi compagni l’Everest dalla parte nord. La parte sbagliata della storia.

Di Tsewang rimane il corpo a 8.500 metri, conosciuto tra gli alpinisti come “green boots” per il colore degli scarponi. E’ diventato una sorta di segnavia  nella salita al tetto del mondo.