Un paese perbene

Siamo arrivati al 24 febbraio quasi senza accorgercene.

Tutto è filato via come in un rituale scontato e le elezioni-spettacolo, con la mobilitazione dei sofisticati mezzi di comunicazione di massa, hanno avuto platee scettiche e poco affollate.

Siamo diventati più maturi o più indifferenti ? Forse l’uno e l’altro. Oggi, alla resa dei conti di questo mese spento e dimesso, comprendiamo tuttavia che la corsa elettorale è stata sottovalutata in partenza per stanchezza e delusione della gente. Adesso anche molti di coloro che avevano sventolato una scheda bianca di minacciosa protesta si rendono conto che questo 24 febbraio può essere molto importante.

Chiunque vinca o sia sconfitto, guadagni o perda voti, aumenti o diminuisca di poco o di molto il proprio consenso, sappiamo già di non poterci aspettare dall’avvenire niente di allegro.

Sappiamo già che dovremo affrontare un periodo duro, difficile. E’ forse soprattutto la consapevolezza, cosciente o sotterranea, di questa prospettiva che ha indotto molti a seguire la campagna elettorale con distrazione, senza speranza né fiducia. Ma basta poco perché la sfiducia diventi abdicazione, pigrizia civile, irresponsabilità. Simili sindromi collettive sono risultate nella storia lentamente distruttive per le società democratiche e in cambio non hanno mai dato nulla di buono. Perciò gli italiani, lo speriamo, hanno vinto a poco a poco questo sentimento di rigetto elettorale. Si accingono oggi a votare decifrando fra tante parole apparentemente tutte eguali quelle più sincere e giuste.

Scegliere gli uomini che dovranno con animo e idee nuove affrontare la sfida della crisi italiana non significa andare alla ricerca di protagonisti del destino, che fortunatamente non si intravedono. Ma scegliere i più onesti e credibili, in quei partiti che hanno le radici nella democrazia, nelle migliori tradizioni civili, in un passato prossimo né arruffone né ambiguo.

Ci sono, questi uomini? Alcuni ce ne sono. Anziché livellare l’intera classe politica accomunandola in un disprezzo cosi generico da risultare ingiusto e rinunciatario, usiamo il voto per rinnovare, confermare, eliminare e promuovere. Se la qualità complessiva del Parlamento risulterà più alta è ragionevole sperare che le cose andranno meglio di ieri, che i governi saranno più affidabili per competenza, risolutezza e quindi stabilità.

Certo, vi saranno grandi problemi da affrontare, prima di ogni altro appunto quello del funzionamento moderno e rapido del Parlamento. Senza coraggiose riforme, politici più efficienti e volenterosi non basteranno; ma questi e altri cambiamenti della vita italiana avranno tante più probabilità di riuscire bene quanto più si misureranno con essi uomini capaci.

Per queste ragioni il malumore della scheda bianca, anche se motivato da molti fatti, va superato e vinto. Dobbiamo scegliere, senza aspettative messianiche, ma rifiutando ogni superstite indifferenza.

In passato, la passività, la mancanza di sensibilità per quel momento cruciale della vita democratica che sono le elezioni potevano trovare giustificazione nell’arretratezza, nell’incultura, in assetti sociopolitici che impedivano o scoraggiavano la partecipazione.

Oggi il Paese è molto cresciuto, malgrado gli scandali e le disillusioni.

E’ in grado di dare alla prova elettorale un segno più profondo del semplice rimescolamento di carte per gli equilibri del prossimo governo. E’ in questo spirito, ci auguriamo, che oggi gli italiani andranno a votare.

Viste con preoccupazione e diffidenza quando si profilarono, queste elezioni possono invece risultare il piccolo incidente della storia che ribalta in positivo lunghi anni di crisi.

Dobbiamo almeno provarci.

I sacrifici che in ogni caso ci aspettano potranno essere ripagati dalla speranza di vivere dopo il 24 e 25 febbraio 26 giugno in un Paese più giusto e perbene.

Che magari con altri 30 anni ce la facciamo per davvero.

ps: beh sì, una decina di parole originali son dovute sparire dall’articolo del 26 giugno 1983, perchè se no il gioco non veniva bene.