L’innovazione e l’open source dimenticato

Consolazione: alla fine, non c’è andato di mezzo qualche albero. La coscienza ecologica è salva. Merito del PDF, che per i più sprovveduti non è il Partito delle Foreste. Per il resto, una moka da caffè strapiena e musica punk per i momenti critici. Cos’è ? E’ l’armamentario per affrontare le 158 pagine del recentissimo Rapporto sull’Innovazione Digitale che a dirla tutta e con sincerità non si legge d’un fiato come l’ultimo bestseller. Anzi.

Eppure qualcosa prometteva. Il ministro Lucio Stanca faceva buon marketing con quelle dichiarazioni che sembran fatte apposta per finire battute sulle agenzie: ‘i due terzi degli italiani sono analfabeti informatici’. Finalmente qualcuno che le canta chiare, che dice pane al pane vino al vino, senza facili ottimismi. Non che al ministro non piaccia declamare qualche successo. Tempo prima al Financial Time aveva detto: ‘l’80% dei dipendenti pubblici ha un computer’. Incastrando le dichiarazioni i casi sono due: o i dipendenti pubblici sono molto bravi e fuori media, oppure in giro per gli uffici ci sono parecchi soprammobili.

In verità l’uscita sull’analfabetismo nel rapporto non c’è. Parrebbe una libera e sintetica interpretazione del ministro per la cortese platea di convenuti al Senato. C’è però molto altro.

C’è l’equazione più ricerca uguale più crescita economica e sociale, che da anni non manca in rapporti, conferenze, convegni e buffet, salvo restare sistematicamente al palo quanto si tratta di mettere le mani in tasca e sganciare la paghetta.

C’è la constatazione delle potenzialità trainanti del settore delle tecnologie digitali per tutta l’economia e del ritardo congenito dell’Italia in questo settore rispetto al resto della compagine europea e occidentale. Ma – tranquilli – quello era il passato, adesso è tutta un’altra storia.

Ci sono quattro pagine quattro per spiegare quanto ci cambierà la vita la Smart Dust, ‘la polvere intelligente’, roba parecchio futuristica. Vien da pensare che se il rapporto è annuale, fra dodici mesi potrebbero metterci il teletrasporto del capitano Kirk.

C’è la beatificazione della TV digitale terrestre come rivoluzione nel settore della comunicazione (qui ci dev’essere lo zampino del ministro Gasparri), che però ad oggi fa 0 utenti o giù di lì (e li farà per parecchio) mentre non c’è da spendere nemmeno una mezza parola smozzicata per un fenomeno diffuso come i blog che di innovazione nel settore della comunicazione, ma anche della tecnologia, ne stanno portando.

C’è tanto altro, troppo per raccontarlo qui. Anche cose buone come le politiche per l’accessibilità.

Ma scavalcando qua e là soporifere divagazioni, dribblando criptici anglicismi in stile ‘empowerment degli individui’ o autarchiche mutazioni di acronimi (TIC al posto di ICT), decifrando chiarissimi grafici che neanche la stele di Rosetta, rimane una sensazione di vuoto, di non detto, come quando parti e ti picchietta nelle meningi che hai dimenticato qualcosa a casa.

Quel qualcosa è ‘l’open source’ o meglio ancora il ‘software libero’. Non che ci dovesse essere un posto in prima fila, per carità, che il settore è ancora, in Italia, piccolino (però in forte crescita), ma almeno un cantuccio, un accenno, una citazione.

Perchè parlare di innovazione digitale, cioè di roba che in fin dei conti ha a che fare con degli zero e degli uno e ignorare l’open source è un po’ una bestemmia.

Bastava poco del resto. Uscire dalla stanzetta e bussare alla porta accanto dove il professor Angelo Raffaele Meo, presidente della Commissione d’indagine sull’open source avrebbe detto che ‘è il simbolo e il fondamento di una nuova rivoluzione tecnologica’. Parole sante.

Ma tant’è, nel rapporto di questa rivoluzione non c’è traccia. Si ha quasi la sensazione che spesso in tema di software libero ci si impantani in un dato puramente economico ricadendo nel vecchio quiproquo: free speech, not free beer. Insomma che si punti più che altro alla birra gratis.

Può essere un’omissione non voluta, una innocente distrazione, ma può essere anche un calcolo ben poco disinteressato. Sì, perchè il giorno in cui si comincerà a riflettere e a prendere in considerazione seriamente il movimento del free software, si dovrà anche arrivare alla conclusione che non stiamo più parlando solamente di linee di codice o di una percentuale del mercato dei server. Stiamo parlando di un nuovo modello per ideare, creare, produrre, distribuire, usare. Di un nuovo modo di concepire l’innovazione, più efficiente e più giusto. Un modo nuovo che fa un po’ tremare i polsi a quelli che oggi si arrabattano per campare di brevetti e copyright sempre più famelici ed immortali.

Se come dicono quelli bravi ‘le tecnologie digitali ormai pervadono la vita quotidiana’ si capisce bene che l’impatto del modello open source potrebbe fare un bel botto. Un botto che può coinvolgere molti paradigmi consolidati dell’economia, dello sviluppo, della società, della democrazia. Qualcosa in più, insomma, di una semplice birra a scrocco.

I dialer? Un (ricco) fenomeno, tutto italiano

Per cominciare, spero perdonerete la franchezza.

Un po’ di tette, un po’ di culi, qualche cartomante, un pizzico di videogame e una vagonata di inutility per telefonini. Benvenuti nel fantasmagorico e mirabolante mondo dell’advertising online in salsa italiana, dove niente si butta e tutto fa brodo. La nostra personale e patriottica via per spremere qualche soldo da questa terra a volte ingrata che chiamiamo web.

Premessa doverosa. Nulla sarebbe di tutto questo, nulla potrebbe essere scritto o detto, se qualche anima benedetta o maledetta (a seconda dei punti di vista) non ci avesse consegnato questa manna (o piaga), sotto forma di dialer e numeri a valore aggiunto.

Domanda da quiz preserale (un poco insulso) : qual’è stato il miglior inserzionista della TV italiana nel settembre 2002 ? A occhio e croce, si potrebbe azzardare che se la giocano colossi come Ferrero, Barilla, Unilever o Procter & Gamble.

Domanda da Settimana Enigmistica, livello oscenamente difficile : chi è stato nello stesso periodo il più assiduo inserzionista del web italiano ? Risposta : Extra-Search con 127 milioni di impression (dati LemonAD). Pausa. Non consumate inutilmente le vostre meningi per ricordare di quale cattivissima multinazionale stiamo parlando o quale luccicante ed altrettanto inquinante prodotto vi riporti alla mente.

Extra-Search.com ovvero suonerie, loghi e tette.

Ridicolizzato il secondo in classifica, Kataweb (107 milioni di impression). Risultato leggermente falsato, in verità. Se sommiamo pere con pere, o meglio pubblicità diverse ma dello stesso soggetto, troviamo sul gradino più alto la strana coppia Rashmi-Inigo Investment . Telecom Italia si accontenta di un quarto posto, Pirelli di un ottavo. Nei primi dieci maggiori advertiser del web italiano ci sono 6 dialer-site. I 5 banner più mostrati sono targati tutti 899 e simili. Livelli da overdose.

Nello stesso periodo in Germania Ebay e Amazon si aggiudicavano la palma di più generosi . Fra i primi dieci nemmeno l’ombra di dialer. In Francia svettavano IBM e Ebay. Dialer neanche con il lanternino. In Gran Bretagna la storia non cambia. Negli Stati Uniti non riescono nemmeno ad immaginare.

Capire che la mole infinita di pubblicità legata ai dialer-site sia un’anomalia o se volete una particolarità tutta italiana è esperienza del senso comune. Bastano 15 minuti di navigazione. Yahoo.it trabocca, Lycos.it ci marcia alla grande, MSN.it è sopra i livelli di guardia. Nei corrispondenti ‘gemelli’ stranieri, il deserto.

Insomma buona parte degli introiti pubblicitari del web italiano poggia sugli scatti da 899. Del resto Renato Soru dichiarando la rinuncia ai banner più osè si sfilava dalle tasche circa 3 milioni di euro, pari al 10% degli introiti da spot. Tenuto conto che su Tiscali telefonini, screensaver e sfondi non erotici, continuano a macinare impression e che, rispetto ad altri, il portale sardo ci va leggero, stiamo parlando di percentuali sull’incasso da maggioranza relativa.

Noi tutti dovremmo ringraziare questi benefattori che tengono in piedi la baracca, questi generosi inserzionisti che in attesa di tempi migliori, danno pane e lavoro a tanti figlioli. Ecco, andiamoli a ringraziare. Il punto è : ma dove dobbiamo andare ?

Extra-search.com alias Vipse Corporation : Ryan’s place, St.Johns, isola di Antigua.

Rashmi’Inigo : Curacao e Tortola. Paradisi fiscali e scatole cinesi. Il viaggio potrebbe essere molto meno esotico e costoso del previsto. Giù armi e bagagli niente escursione ai Caraibi. Per Rashmi vi rimando ad una storia molto lunga che trovate qui. Vipse è tra le altre cose, l’intestataria del portale Anzwers che è a sua volta riconducibile alla Noago srl di Borgomanero. Novara, altro che caribe.

Eccolo qui uno dei ‘best advertiser’. Quello che lascia indietro giganti come Telecom e Kataweb. Davide contro Golia. Ovviamente con qualche piccolo scivolone sulla più classica buccia di banana.

Nella primavera del 2002 un commercialista di Udine trascina davanti all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato una pubblicità di www.suonerie-sms-loghi.net (ovvero Noago srl) comparsa sul portale MSN.it . A suo dire è truffaldina.

L’Authority gli dà ragione e motiva con una serie di elementi che di fatto renderebbero oggi il 90% dei dialer-site ingannevoli :

– sulle pagine internet non è indicato il prezzo del servizio

– le informazioni che precedono l’attivazione del programma risultano inadeguate ad informare il consumatore, in ragione delle dimensioni della finestra di testo e del testo in essa leggibile

– le modalità di fruizione del servizio fanno sorgere in capo all’operatore un particolare obbligo di diligenza nell’evidenziare chiaramente il prezzo dello stesso, in quanto attraverso il messaggio pubblicitario non si viene semplicemente informati dell’esistenza di un nuovo servizio di possibile interesse ma si pongono le premesse per un vero e proprio contratto

Neanche la dicitura a piè pagina ‘l’utente ha il dovere di leggere attentamente le condizioni e i costi contenuti all’interno del software di collegamento’ salva Noago. Pubblicità sospesa. Firmato Giuseppe Tesauro.

Dopo l’episodio c’è da credere che il nostro ‘Davide’ non si sia preoccupato più di tanto e che alla fine comunque i suoi 127 milioni di impression rendano bene. Anche perchè, l’Autorità per legge può agire solo su una segnalazione circostanziata di un utente. Di commercialisti di Udine ce ne vorrebbe un qualche migliaio. Sonni tranquilli per tutti.

La domanda, si diceva un tempo, sorge spontanea. L’advertising online italiano è figlio di un dio minore ? Sulle prime pagine dei maggiori quotidiani italiani si fatica a trovare la pubblicità di un 899. Il mercato è relegato sì e no alle ultime sfogliate delle varie Novelle 2000. Sulle home page italiane invece lo slalom si fa impossibile. Impresa dannatamente difficile evitarle.

Publitalia che ogni anno raccoglie migliaia di milioni di euro per i passaggi in tv di una trentina di multinazionali, nel proprio settore Internet (compresa quella cosa chiamata Jumpy) non trova di meglio che appaltare gli spazi, quasi in monopolio, a Rashmi e compagnia.

Intanto i portali che ospitano le pubblicità incassano e si smarcano . Microsoft davanti all’Autorità Garante dichiara che non è responsabile di contenuti pubblicitari che pubblica. Leggermente ipocrita, almeno fino a quando non vedremo in heavy-rotation su Msn spot by Linux. Truffaldini avanti , concorrenti alla larga.

Se sui banner non si ha controllo, sui propri contenuti invece ovviamente sì. Articoli o inchieste sul fenomeno dei dialer latitano. Si fatica a sputare nel piatto in cui ci si sfama ogni santo giorno.

Pubblicità ingannevoli, dialer dipendenza, soldi facili, inserzionisti con casella postale da paradiso fiscale. Benvenuti nell’advertising online italiano dove niente si butta, ma il brodino comincia a stancare.

Costa caro cadere nella Rete

Che cosa sta accadendo al web italiano ? È la domanda che si devono essere posti molti utenti in questi ultimi mesi, da quando la Rete è stata invasa. Niente extraterrestri. Niente Orson Wells. Solo sesso, loghi e suonerie.

Difficile non notarlo.

Difficile, anche per il navigatore più distratto, non sbattere nei banner pubblicitari in heavy rotation su tutti i portali e nelle e-mail di spam che a badilate intasano le caselle di posta elettronica.

Il 2001 è stato un annus horribilis per la pubblicità on line, con tutti i maggiori protagonisti della Rete nostrana con l’acqua alla gola, alle prese con ristrutturazioni e licenziamenti che nel mondo della new economy sembravano fantascienza solo dodici mesi fa.

Si sa, in tempi di quasi recessione i primi a essere tagliati dalle aziende sono gli investimenti pubblicitari. Così i bilanci delle dot.com, già provati, scendono giù negli abissi. Se poi ci si mette in mezzo anche l’11 settembre, si comincia a grattare il fondo del barile. E da quel gratta-gratta esce fuori una strana parola: dialer.

Paolo G, elettricista in una grande azienda, sposato e con due figli adolescenti, di quelle sei lettere messe in fila fino a un paio di mesi fa non conosceva nemmeno l’esistenza e avrebbe continuato volentieri a ignorarle. Il destino ha voluto che il dialer entrasse nella sua vita attraverso una busta bianca e rossa targata Telecom: telefonate per un totale di 1 milione e 300 mila di vecchie lire. Bolletta milionaria e due figli adolescenti. Due più due fa quasi sempre quattro. Breve indagine: il figlio maggiore ricorda che vagando tra una chat e una ricerca per la scuola, si era imbattuto un giorno in un sito con ragazze in abiti particolarmente succinti e aveva cliccato per entrare. È a questo punto del racconto che si inserisce la parola magica.

Dialer: minuscolo (e a volte subdolo) programma che con un paio di clic stacca la connessione normale e ricollega a un numero a pagamento, tanto per intendersi 166 e simili.

Il ragazzo, dopo la parentesi erotica, continua la sua navigazione normale senza rendersi conto che la connessione è ancora quella a tariffazione speciale, uno scherzetto da 3 mila lire al minuto. E via così nei giorni successivi, pensando bene di scaricarsi allo stesso modo qualche suoneria molto glamour per il nuovo cellulare. Il conto finale già lo conosciamo.

Dopo un paio di anni di onorata carriera (onerosa per i consumatori) nel settore del porno, unico business della Rete che porti soldi veri e non debiti, per il dialer ad autunno 2001 arriva il momento dell’altra passione italiana: il cellulare. Loghi e suonerie sbarcano anche sulle prime pagine dei portali.

Oltre all’invasione pubblicitaria, il termometro della situazione viene dai motori di ricerca.

Piccolo esperimento: interrogazione di Google, il più usato e affidabile. Parole chiave: sesso, porno, tette e tutti gli abbinamenti che il più fantasioso kamasutra verbale possa contenere. Conclusione: quasi il 40 per cento dei risultati ottenuti porta a siti dialer. In termini numerici, migliaia e migliaia di indirizzi internet. Idem per i telefonini.

Le cifre in ballo sono notevoli e in forte crescita, la torta da spartirsi molto ghiotta e gli sforzi minimi, perché attivare un 166 non è certo un’impresa titanica. Basta recarsi presso un centro servizi che mette a disposizione le sue infrastrutture e chiede a un operatore di telefonia (per esempio Telecom) di attivare sulla propria rete il numero. Un po’ di pubblicità al sito, e-mail di spam e inserimento sui principali motori di ricerca. Il gioco è fatto, non rimane che sedersi e aspettare.

Se non ci si accontenta e si vuole evitare quel satanasso del fisco italiano, si intestano sito e 166 a una società di comodo in qualche paradiso fiscale.

L’affare dialer corre sul filo sottile che separa il lecito dal truffaldino, con ciclopiche scritte «gratuito» sparate a mille e lillipuziane avvertenze sui costi del «servizio», a piè pagina o negli anfratti più remoti. La parola trasparenza da queste parti suona un po’ come una bestemmia, con un particolare decisamente inquietante.

Una legge del 1995 vieta in modo assoluto per i 166 i contenuti erotici e pornografici. Quindi le migliaia di siti porno e di relativi dialer che in questi anni hanno fruttato agli operatori tanti bei miliardi, sono da considerare sostanzialmente illeciti. C’è da scommettere che nemmeno un centesimo del malloppo tornerà nelle tasche degli utenti. Del resto il gioco preferito nel settore è lo scaricabarile.

Al momento dell’attivazione del 166 si deve firmare una «dichiarazione sostitutiva di atto notorio» in cui si descrive il tipo di servizio fornito. Il foglio finisce direttamente al ministero delle Comunicazioni per gli eventuali ‘ sottolineiamo eventuali ‘ controlli.

In caso di contestazione l’unico responsabile è chi ha firmato la dichiarazione. Niente è dovuto dagli altri soggetti come centri servizi e compagnie telefoniche, che pur intascano una percentuale su ogni euro che il numero genera. Beppe Grillo, simpaticamente, li ha definiti vigliacchi: «Noi non sappiamo niente, noi affittiamo le linee a delle altre società a responsabilità molto limitata e poi quello che fanno non ci riguarda. È come se le Fs dicessero: be’ c’è un treno fermo due giorni, lo affittiamo a delle bagasce, fanno due o tre marchette ma a noi non ci riguarda, ci danno il 10 per cento».

Tutto questo comunque è il passato. Per il futuro, anzi per il presente, la soluzione è già arrivata. E viene dalle parti dell’autorità delle comunicazioni. Nel 2000, con una delibera, l’organo presieduto da Enzo Cheli introduce in Italia nuovi numeri a tariffazione speciale accanto ai vecchi 166 e agli ormai trascurati e inutili 144. Gli 899 e i 709 sono diventati attivi solo alla fine del 2001, ma hanno riscosso subito un gran successo fra gli operatori. Rispetto ai cugini più anziani portano in dote notevoli vantaggi, ovviamente non per i consumatori. La novità più importante è il via libera al porno, vero business trainante. I servizi forniti dai nuovi numeri non sono più regolati da una legge ma dai codici di autocondotta dei singoli operatori. Per puro caso tutti hanno cancellato la parte riguardante il divieto per i contenuti erotici. Anche il più importante: Telecom Italia.

PROFONDO MISTERO. Ma non è tutto. Il limite massimo per singola chiamata passa dai venti minuti dei 166 ai sessanta degli 899, oltre al calare del più profondo mistero sui costi al minuto. Definirli poco trasparenti risulta riduttivo. Il prezzo varia a seconda della numerazione e dei singoli accordi fra gli operatori di telefonia. Si apre così una giungla tariffaria inestricabile per il consumatore, fino al paradosso che il solo scatto alla risposta possa costare anche la modica cifra di cinque euro. Il risultato è scontato: passaggio massiccio alle nuove numerazioni, con previsione di un rapido pensionamento per i 166.

A questo punto una domanda è d’obbligo: dove finiscono i quattrini del nuovo business della new economy ?

Per rispondere, è necessario il secondo, piccolo esperimento: giro turistico fra centinaia di siti che offrono porno, loghi e suonerie. Il risultato è la figura retorica per eccellenza della Rete: la ragnatela.

Ai margini di questa tela finissima ci sono piccoli webmaster, delusi dalle mirabolanti prospettive che qualche guru dell’e-commerce gli aveva propinato e desiderosi di rientrare almeno delle spese. Sottoscrivono programmi di affiliazione e infilano sul proprio sito dialer di qualcun altro in cambio di una percentuale sul traffico telefonico generato. Se non ci fossimo incamminati sul sentiero della metafora aracnide potremmo definirli i classici pesci piccoli. Furbi, ma piccoli.

È avvicinandosi al centro della ragnatela che si fanno gli incontri più interessanti. Road Town è la piccola capitale dell’altrettanto minuscola isola di Tortola nelle isole Vergini britanniche (Bvi per i facoltosi habitué). A dispetto dei suoi 6.500 abitanti può contare su circa 350 mila società registrate. Il segreto di questo mirabolante attivismo è presto detto: le isole caraibiche sono uno dei più blindati paradisi fiscali.

Road Town è anche sede della Inigo Investment, società a cui risultano formalmente intestati centinaia e centinaia di siti-dialer dai nomi sottilmente allusivi come ninfomaniarrapate.com o pornosubito.com.

UNA MULTINAZIONALE’ Oltre al proprio network, Inigo promuove uno dei programmi di affiliazione più gettonati. Su alcuni suoi siti che potremmo definire «depositi» si trovano centinaia di dialer diversi a disposizione di quei pesci piccoli di cui abbiamo parlato. Ma i Caraibi sono solo l’ultima tappa di questa società, che risulta avere sedi anche a Dublino e Londra. Una multinazionale’ Nemmeno per sogno. Solo scatole vuote. Stranamente le sedi coincidono con indirizzi e recapiti di società internazionali che offrono servizi off-shore: nelle Isole Vergini il colosso panamense Mossack Fonseca, in Gran Bretagna e Irlanda l’Intertrust Group. Un’altra stranezza ci porta al capolinea di questo viaggio ai quattro angoli del mondo: in tutte le registrazioni, che la sede sia al caldo sole delle Bvi o nella triste nebbia londinese, il recapito telefonico è sempre lo stesso, e porta dritto dritto nel Canton Ticino, al civico 12 di via Serafino Balestra a Lugano. La targa sul portone indica «studio fiduciario Ferrecchi».

Qui, ai più, scatta il manzoniano «chi era costui ?». Ma ai ben informati di cronache giudiziarie milanesi il nome non suona certo nuovo. Giorgio Ferrecchi, già consigliere di amministrazione di Finivest Service sa, era il procuratore dei conti correnti svizzeri di All Iberian.

All’ex fiduciario del nostro presidente del Consiglio i Caraibi devono proprio piacere. Curaçao è la più grande delle tre isole che compongono le Antille olandesi. Nel settembre del 1998 vengono costituite due società gemelle: Ferdia e Rashmi. A loro nome sono registrate altre centinaia di indirizzi internet con oggetto, manco a dirlo, i famigerati dialer. Anche qui la fantasia non manca: amicheporche.com, sesso-grasso.com e via discorrendo.

Per arrivare fino a via Balestra la strada è più tortuosa e passa attraverso piccoli indizi, link incrociati e «società cuscinetto». Stesso capolinea per la World Wide Webmarketing Ltd di Anguilla o per i siti registrati a nome Fukyana Sherif questa volta in terra africana, al Cairo. Ferdia, Rashmi e Inigo sono, tra le altre cose, i più attivi inserzionisti di banner sui portali italiani da Virgilio a Iol, da Lycos a Jumpy.

SUL MAPPAMONDO. Lugano sembra tappa obbligata per certi tipi di affari. A due passi dallo Studio Ferrecchi, nel pieno centro della city luganese, troviamo la sede della Ilex Trust, altro terminale insieme alla collegata Lago Fiduciaria di moltissimi siti-dialer italiani. Niente uso di paradisi caraibici questa volta, ma la più misteriosa Alofi capitale di Niue, neocentro off-shore. A cercare sul mappamondo questa isoletta persa nell’immensità dell’oceano Pacifico c’è da perdere la vista. Qui ha sede la Lr Company Services, scatoletta vuota e unico filo che collega un network di siti registrati a soggetti improponibili (e falsi) come la Solemio Srl ‘ via della mamma 13 (Napoli), referente Gennaro Esposito. Alla faccia del luogo comune.

Tutto questo vagare per i mari di mezzo mondo non ci deve far dimenticare però che italiano è il mercato e italiani sono i protagonisti della vicenda.

L’associazione Libere comunicazioni nasce a Roma nel 1999. Lo scopo dichiarato è nientemeno quello «di restituire la libertà al settore del servizi a valore aggiunto, gravato da troppi lacci e lacciuoli» e «vessato da una legge-truffa promulgata nel 1995». In pratica le rivendicazioni sono quelle che troveranno una risposta nel 2000 con la delibera dell’Autorithy. Promotore dell’iniziativa e poi presidente del sodalizio è il cinquantenne avvocato romano Amedeo di Segni. L’associazione sembra godere subito di buoni appoggi e contatti con il mondo politico. Sul sito di riferimento (www.legal.it/alc) si propaganda la fulminea adesione dell’onorevole Marco Taradash.

Anche a livello ministeriale l’associazione gioca bene le sue carte. Attiva da neanche sei mesi, ottiene nell’ottobre del 1999 un incontro con il sottosegretario alle Telecomunicazioni Lauria. Gli incontri al ministero continueranno per tutto il 2000.

Nelle elezioni politiche del 2001 l’Alc si spende a sostegno della campagna elettorale di Gianni De Michelis che in cambio promette «tutto il suo appoggio». «Non ci proponiamo come associazione di categoria, ma ci presentiamo alle istituzioni quale contenitore rappresentativo dei centri servizi, di chi al loro interno vi lavora, dei consumatori (orpo!), dei comitati utenti audiotel (?) e di talune rappresentanze sindacali. Nessun interesse privato, quindi, nessuna mafietta da difendere».

In verità qualche piccolo interesse privato da difendere ci sarebbe.

SITI DEPOSITO. Terzo esperimento.

Digitando l’indirizzo www.david-dvd.com/dialer/ si apre una paginetta bianca con una lista di circa 150 dialer, quasi tutti dai contenuti erotici. Siamo alle prese con uno dei famosi «siti deposito». E a nome di chi è registrato ? David Edizioni Srl, per informazioni il contatto è l’avvocato Amedeo Di Segni. Tombola.

Attorno al «sito deposito», una serie di società sparse in mezzo mondo, ma dall’inconfondibile marchio di fabbrica tutto italiano. Dalla Telekosmos di Nassau alla Liddle Ltd di Dublino, dalla Worldort nelle Bahamas alla romana Imago, passando per le imparentate Kreazioni srl e Tsv International. Quest’ultima nel 1999 è stata protagonista di una strana truffa ai danni di Telecom Italia. Con la complicità di alcuni dipendenti dell’ex azienda di Stato aveva generato falso traffico telefonico sui propri 166 per vagonate di milioni.

Ma anche in questo caso non poteva mancare l’approdo ticinese. La Shan Services Llc è una società con sede a Cheyenne capitale del Wyoming. Lo Stato del Nordovest degli Stati Uniti è noto per il parco di Yellowstone e per i suoi ranch. Paradiso naturale ma anche fiscale. Per formare una società bastano poche ore e se non si svolge attività sul suolo statunitense, zero tasse. Buona notizia per chi fa affari con gli 166 in Italia.

Quella di Cheyenne è solo l’ennesima scatola vuota. Una filiale operativa si trova a Lugano in via Zurigo 5. Amministratore unico Codoni Fabrizio, e il «chi era costui» questa volta ci porta dalle parti della fiduciaria Abilfida (stesso indirizzo) di cui Codoni è vicepresidente. Un gradino più su negli organismi societari siede il dottor Laurito Frigerio indagato per riciclaggio nel dicembre del 2001 dalla Procura di Milano nell’ambito dell’inchiesta sulla discarica di Cerro. I soldi riciclati sarebbero quelli di Paolo Berlusconi e dei suoi soci.

Come si vede, se si mettono insieme Svizzera, fiduciarie e inchieste, il cognome più famoso d’Italia salta fuori come il prezzemolo.

La Shan Services è intestataria di molti siti su uno di questi (www.erosline.ch) viene proposta una strana raccolta punti. Niente a che vedere con pentole o tazzine: ogni minuto che un utente passa collegato ai numeri a valore aggiunto corrisponde ad un punto premio. Con 210 mila punti si può portare a casa una Jaguar nuova fiammante. Conti alla mano, conviene passare direttamente dal concessionario.

PROPOSTA STRAVAGANTE. Se si hanno dei dubbi sulla realtà di questa stravagante proposta basta scrivere una e-mail all’indirizzo di posta elettronica fornito come supporto nel caso si desideri qualche chiarimento: cambio@legal.it. Tana per l’avvocato Di Segni. Stessi affari, stessi meccanismi, stessi canali finanziari. La sensazione è che a tessere la ragnatela siano, alla fine, pochissimi ragni. Un altro dato potrebbe confortare quest’ipotesi: stessi numeri ?

La risposta è una serie impressionante di coincidenze. Da siti intestati a soggetti che apparentemente non hanno nulla in comune, sulla carta lontani migliaia di chilometri, vengono composti gli stessi numeri o numeri vicinissimi. Caso esemplare: alcuni dialer Inigo si collegano all’166.131.960 mentre quelli dell’attivissima B2M2 all’166.131.962, stessa simmetria per i numeri 899.003.439 e 899.003.438. Che dire poi del nuovissimo 709.555.0000 numero di riferimento per Inigo ma anche per Infoline srl, Rocketmedia e molti altri ancora’

Ultima coincidenza. Destino vuole che il 90 per cento dei 166 attivati dalle società di cui ci siamo occupati (compresi quelli erotici) faccia parte dei pacchetti assegnati dalle autorità alla Plug it, emergente società di telecomunicazioni di Arezzo, fra i primi cinque operatori nazionali di telefonia fissa e seconda dopo Telecom Italia nei servizi a valore aggiunto.

Sembra che il gruppo toscano non presti molta attenzione ai contenuti dei numeri che i suoi clienti attivano, del resto la percentuale sugli incassi ottenuti da questi 166 deve aver contributo all’ottimo bilancio della società nel 2001, anno da dimenticare per tutti gli altri operatori: 143 milioni di euro di fatturato rispetto ai 20 dell’anno precedente. Niente male.

Qui la giostra si ferma, ritornando alla domanda da dove tutto è partito: cosa sta accadendo al web italiano ?

Semplicemente qualcuno ha inventato il business perfetto, con pochi rischi e molti profitti, dove tutti hanno qualcosa da guadagnare: le compagnie telefoniche con gli scatti, i portali con la pubblicità.

Tutti tranne uno, Paolo G, che senza saperlo un giorno è finito nella Rete dei furbi.

Topolino, vent’anni senza condizionale

L’epilogo di tutto sta in una riga scarsa comparsa sul blog di Lawrence Lessig alle 12.09 ora della costa occidentale lo scorso 16 gennaio 2003: “with deep sadness, la Corte Suprema ha respinto il nostro ricorso contro la Sonny Bono.” Passo e chiudo. Il topo resta in gabbia per altri vent’anni.

Ora verrebbe da chiedersi : quale ricorso ? Che cos’è la Sonny Bono ? Chi diavolo è Lawrence Lessig ? Ma soprattutto cosa c’entra un topo con la Corte Suprema degli Stati Uniti ?

Salvatore Bono meglio conosciuto come Sonny, si deve considerare certamente un tipo eclettico. Se non si fosse schiantato con gli sci contro un albero un pomeriggio di gennaio del 1998, sulle montagne al confine tra California e Nevada, ce lo ricorderemmo oggi per i suoi trascorsi musicali e televisivi accanto all’ex-moglie Cher, o forse per quelle sue comparsate in telefilm cult degli anni ’70 come Love Boat, Charlie’s Angel, Fantasy Island o Chips. Invece gli è toccato in sorte l’abbinamento perpetuo nell’immaginario collettivo e nell’archivio della Library of Congress con una legge che puzza di lobby lontano miglia e che viene contestata da una buona fetta d’America.

Nella sua completa e chilometrica dizione è il Sonny Bono Copyright Term Extension Act. Ai fini pratici è la legge che nel 1998 estende il copyright di altri 20 anni. Tanto per dirla : gli eredi di un autore morto nel 1950 (o chi ne detiene i diritti) potranno continuare a godere i frutti del lavoro del caro estinto fino al 2020. Per le opere nelle mani delle corporation la protezione passa dai 75 ai 95 anni dal momento della prima pubblicazione.

Sonny era un sincero e accorato sostenitore del diritto d’autore, ma non era nè il primo nè il più influente congressman impegnato nel progetto di estensione del copyright. Era insomma una sorta di Cirami d’oltreoceano mandato avanti dai boss del Congresso e dalle ingombranti lobby di Hollywood. Con la differenza che, come diceva Francesco Guccini da Pavana, “gli americani con la lingua ci fregano” e Sonny indiscutibilmente suona molto meglio di Melchiorre. (del resto “facemmo tutta una tirata da Omaha a Tucson” non è la stessa cosa di “facemmo tutta una tirata da Piumazzo a Sant’Anna Pelago).

Dietro all’ex cantante si muovono vere e proprie “vacche sacre” dell’establishment. Il primo a presentare un disegno di legge nel merito è stato nel 1995 il senatore dello Utah Orrin G. Hatch, chairman del comitato sulla proprietà intellettuale. Il vero padre del Copyright Extension Act. Uno che bazzica dalle parti del Campidoglio dal 1976. Repubblicano che più repubblicano non si può: bianco, religiosissimo, abbasso le tasse, viva le pistole. Un unico strappo al copione : la vena poetica riversata come paroliere in sette album che presumibilmente non verranno trasmessi ai posteri.

Ma l’apparenza non inganni, il senatore ha uno spirito molto pratico ed è consapevole che qui non si sta parlando di quattro canzonette, ma della seconda voce dell’export americano. Un settore che da solo rappresenta il 6% del PIL e dà lavoro al 5% di americani , facendo degli Stati Uniti di gran lunga il primo produttore di copyright al mondo. Roba per cui, di questi tempi, ci si può organizzare anche una guerra.

La legge viene approvata definitivamente il 7 ottobre del 1998. Senza clamore, con un semplice “voice vote” e nel disinteresse dei media. Il grande pubblico americano in quei giorni era tutto concentrato sui maneggi sotto-scrivania di Monica Lewinsky e appena 24 ore prima la commissione giustizia della Camera aveva avviato la procedura di impeachment per William Jefferson Clinton. Pacche sulle spalle e brindisi solo nei consigli d’amministrazione, nelle stanze dei lobbisti e nel salotto di qualche sfaccendato nipote di un autore di successo, a cui veniva garantito un supplementare ventennio di rendita.

D’altro canto c’era di che gioire per gli sforzi : il settore “intrattenimento e affini” aveva dato molto a Washington : tra il 1990 e 1998 aveva spalmato tra democratici e repubblicani più di 93 milioni di dollari (tra il 2000 e il 2002 addirittura 105 milioni). Una bella cifra, ma non la più generosa in assoluto. Si sa, i media hanno altro da portare in dono ai politici: quella cosa chiamata consenso.

Chi non festeggia per niente è Eric Eldred. Editore per hobby, con la passione per i vecchi libri da pubblicare gratuitamente online dal salotto di casa sua nel New Hampshire.

Dal 1995 prova gusto e soddisfazione a poter diffondere e condividere col mondo letteratura sottoforma di bit. Niente di eclatante sia chiaro, cose un po’ fuori mano, magari a rischio d’oblio e tutte ormai libere da copyright, di pubblico dominio. Finchè un giorno scopre che qualcuno laggiù a Washington D.C. gli sta mandando a gambe all’aria l’hobby. Di colpo vede sfumare sotto gli occhi la possibilità di diffondere in Rete migliaia di opere prodotte negli anni venti e trenta del novecento. E quasi tutto per colpa di un topo. Non un sorcio qualunque e nemmeno di un topo in carne ed ossa.

Destino ha voluto che tra quella mole enorme di lavori “in scadenza” ci fosse anche un disegno animato in bianco e nero di 6 minuti scarsi dal titolo “Plane Crazy”. Il protagonista del cartoon, per far colpo sulla sua ragazza cerca di imitare goffamente Charles Lindbergh. E’ il 15 maggio 1928 : prima apparizione in pubblico di Mickey Mouse. Ora non ci vuole certo Archimede Pitagorico per capire la differenza che passa tra 2003 (1928+75) e 2023 (1928+95), soprattutto se ti chiami Walt Disney Company e con Topolino e compagnia sbarchi il lunario.

Ad Eric di Mickey Mouse in verità non importava un granchè, anzi non importava proprio nulla. Mal digeriva piuttosto il fatto che per salvare Topolino si ricacciassero nel cassetto per altri vent’anni migliaia di canzoni, libri, sceneggiature, film. Come dicono da quelle parti “che per arrostire il maiale si mandasse a fuoco tutta la casa”.

A questo punto del racconto un qualsiasi pensionato del New Hampshire avrebbe staccato la spina del suo computer e si sarebbe trovato un altro passatempo. Ma Eric Eldred è una di quelle persone con l’insana tendenza ad aggrovigliarsi le budella davanti ad un piccola o grande ingiustizia. Così sforna la pensata di portare il Congresso davanti a un giudice: a suo parere si sta violando nientemeno che la Costituzione degli Stati Uniti d’America.

A sostenerlo nell’impresa arriva un professore di legge ad Harvard (ora alla Standford Law School) : Lawrence Lessig , per gli amici Larry. Forse l’unico professore di legge al mondo che oggi possa vantare una nutritissima schiera di fan.

Un bel pacchetto di ammiratori se li era già conquistati nella causa “US vs. Microsoft Corp”. Il giudice Jackson lo aveva voluto come super consulente per capirci qualcosa nelle presunte pratiche monopolistiche di Bill Gates. Dalle parti di Redmond la cosa non era andata giù, perchè quel tipo smilzo e dallo sguardo sottile non dava garanzie di affidabilità. Dopo diversi attacchi personali, Microsoft otterrà da una corte federale l’estromissione di Lessig dal caso.

Eric e Larry (a cui si aggiungono via via associazioni per i cyberdiritti, editori, professori universitari e persino colossi industriali come Intel) ritengono che senatori e deputati abbiano violato il primo emendamento, che stabilisce che il Congresso :”promuove il progresso della scienza e delle arti, garantendo ad autori e inventori il diritto esclusivo sulle loro opere e scoperte per un tempo limitato.”. E la questione giuridica gira tutta attorno alle due ultime parole: “tempo limitato”.

Quella approvata nel 1998 è la quattordicesima estensione del copyright decisa da Washington da quando la norma venne introdotta nell’ordinamento nel 1790. Ogni volta, a scadenza regolare, il traguardo del “pubblico dominio” viene spostato in là di qualche anno o decennio. Un giochino beffardo.

Per Lessig e soci la “temporaneità ” si trasofrma di fatto in “eternità” e la Costituzione diventa carta straccia, una regoletta aggirarata con astuzia. Chi potrà impedire che nel 2020 non si decida di prolungare il copyright per altri 20 anni ? E poi di 20 ancora ? Ogni volta ci saranno “tanti buoni motivi”, come l’allungamento della vita media o “l’armonizzazione” con Unione Europea che già nel 1993 (e senza tanti dibattiti) aveva portato la protezione a 70 anni. Oppure un solo buon motivo : i soldi, tanti soldi.

Alle argomentazioni di Lessig annuisce soddisfatto il popolo della Rete, non i giudici. Ogni gradino una sconfitta; dritti fino alla Corte Suprema, dove Lessig compare il 9 ottobre del 2002 per esporre quelle che non sono semplicemente le sue ragioni “in punta di diritto”, ma una visione del progresso umano che il copyright eterno e senza limiti mette in serio pericolo.

Un progresso che si alimenta con la libera condivisione, con la rielaborazione, con la diffusione più ampia di opere ed idee. Un progresso che passa attraverso una mediazione tra diritto degli autori e il bene della comunità.

Visione bocciata dalla Corte Suprema per 7 giudici a 2.

Topolino, dicevamo, resta in gabbia e si porta dietro una bella compagnia da Hemingway a Gershwin, da “Luci della città” a “Happy Birthday to you” (si proprio la canzoncina dei compleanni !) e mille altri. Se ne riparlerà fra vent’anni. Nel frattempo niente lamenti o grande stupore se qualcuno comincia a tifare per Gambadilegno.