Viaggiare leggeri

<%image(20040211-aereosequestri.jpg|200|136|Sequestri prima del volo)%>

Un’inchiesta del Las Vegas Review-Journal all’aereoporto internazionale McCarran, dimostra che molti non hanno ancora recepito che di questi tempi le forbicine in volo non le devi portare, ma non solo.

Il servizio di vigilanza in 18 mesi ha sequestrato “4,500 deadly or dangerous weapons”, esplosivo ogni 3 settimane, una pistola ogni 2, un cutter al giorno. C’è stato pure uno che voleva salire con in valigia una mina. Ma certo, prego si accomodi.

Lezioni di giornalismo

Fabrizio Gatti è giornalista al Corriere della Sera. E’ sotto processo a Lodi per aver dichiarato false generalità per entrare come clandestino nel centro di permanenza temporanea di via Corelli a Milano. Via Barbiere una bella lezione di giornalismo.

Un posto creativo

C’è un posto laggiù nella Silicon Valley con meno di 5.000 anime. Si chiama Portola Valley e come scrive “Mercury News” è il paese con il più alto tasso di brevetti in rapporto alla popolazione della California. Ne hanno registrati 1.800, robetta anche interessante.

Gli asini volano

Sfogliando del tutto casualmente “Avvenimenti, settimanale dell’altra Italia” vi potreste imbattere in una classica “tappabuco“, ovvero notizia con il solo scopo di riempire un vuoto : Attenti al numero truffa.

In pratica se vi arriva sul cellulare uno squillo o un sms dal numero 0141455414 non richiamate perchè allo scatto alla risposta vi sgraffignano 50 euro e poi addirittura 20 euro al secondo (boom). Parola della polizia postale di Torino.

Chi mastica un po’ della materia ha già fiutato lo scampanellio di una intera mandria di bufale. In tutti i casi prima di piazzare la notiziola in pagina almeno l’ebrezza di una verifica con google sarebbe salutare. In 2 minuti potrebbe venir fuori l’ennesimo hoax che gira e rigira da parecchio tempo come documenta (bene come sempre) l’Attivissimo Paolo.

Anche le tappabuco ogni tanto si meritano una verifica delle fonti se no finisce che un giorno o l’altro, per esigenze di impaginazione, anche gli asini si mettono a volare.

39 minuti

Nel 2003 l’AIDS ha ucciso in tutto mondo 3 milioni di esseri umani. Moltissimi nel continente africano. Secondo questo istituto di monitoraggio nel 2003 i tre network americani (CBS,ABC,NBC) hanno dedicato al problema in tutto 39 minuti.

Le notizie dall’Iraq si sono portate via più di 4.000 minuti.

Principe Carlo in Iraq

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Regola numero uno

Nella triste (per i lavoratori) vicenda de ilNuovo leggo su Internet News :

“la piattaforma editoriale è in mano a Fastweb, che può cancellare con un click tutto il nostro archivio di articoli, di foto. Un danno enorme. La redazione non aveva provveduto a fare copie di backup”

Regola numero uno del perfetto informatico : un backup si fa prima che i buoi siano scappati.

Regola numero due : di solito la regola numero uno si impara quando i buoi sono scappati.

The million dollar man (mancato)

Mi puzzava un po’. In effetti qualcuno che offrisse anche un milione di dollari per un po’ di scartoffie firmate Microsoft mi sembrava letteralmente fuori di testa. Alla fine l’asta si è chiusa appena sopra 1.000 dollari, il resto erano solo jokes. Mike Rowe per qualche giorno s’era illuso.

Lo yeti, il pinguino e l’epidemia

<%image(20040205-yetiepinguino.jpg|206|126|gioco yeti e pinguino)%>

Altro che influenza aviaria, altro che Mydoom la vera epidemia di questi giorni è il giochino malefico dello yeti e del pinguino.

In pochi giorni, da metà gennaio ha fatto il giro del mondo. Senza indagare troppo le teorie sulle epidemie sociali come quella di Malcolm Gladwell, è innegabile che qui la blogosfera c’entra e c’entra eccome. Con strumenti diffusissimi di aggiornamento rapido, giornaliero, il web e le informazioni veicolate accellerano e lo yeti ha battuto un ‘home run’.

Noio volevam savoir

Spiccicare 2 parole in croce.E’ un progresso, perchè prima, nella maggioranza dei casi se ne cavava fuori una al massimo. Questa ricerca dimostra l’evoluzione della specie. Quale ? Quella del “cercatore” in Rete.

Nel 32% dei casi nella casellina bianca dei motori di ricerca finiscono 2 parole, un bel 25% addirittura si permette 3 vocaboli. Sintomo che la galassia in espansione del web si estende a perdita d’occhio e per scovare qualcosa di decente e pertinente bisogna affinare l’ingegno.

Senza esagere però. C’è da scommettere sul sicuro sostenendo che non molti conoscono o usano le funzioni avanzate dei motori di ricerca e che l’utente medio non ha mai provato l’ebrezza, che so, dei risultati figli delle virgolette di una “exact phrase”.

Se è vero che un web più usabile e più utile passa inevitabilmente attraverso migliori algoritmi, websemantica e quant’altro, un piccolissimo contributo può venire da un’opera minina di alfabetizzazione.

Dulcis in fundo c’è anche un 20% si accontenta e si ostina a campare inserendo una solitaria parolina. Come andare a Milano e chiedere al primo che passa “scusi sa micca dove abita Marisa ?” Un po’ alla fratelli Caponi.

Download gasato

<%image(20040202-pepsi itunes.jpg|170|125|Scarica musica da iTunes con pepsi)%>

Stappa una Pepsi e puoi scaricarti un pezzo da iTunes. Stappa una Sprite e puoi scaricarti un pezzo da Musicmatch. E se stappo un chinotto ?

Appassionati (d’oltre mare) di download gratuiti, affezionati compulsivi del “minchiaaa è aggratiss”, cavalcate l’onda delle amorevoli effusioni tra major discografiche e multinazionali del soft-drink (in mezzo Apple e imitatori) e preparatevi a sonori rutti al ritmo dell’ultima topten.

Per chi volesse esagerare, c’è pure la spazzatura. Statistiche alla mano dicono che l’80% dei 100 milioni di tappini finirà nel cestino senza passare da iTunes, per via che molti sono gli sbadati e molti quelli a cui non frega niente dell’iniziativa. Quindi se ci tenete ravanate nel cassonetto.

L’uomo che sussurrava alla mafia

Estate 1992. Giovanni se ne sta dietro la porta socchiusa. Ascolta, non visto, Nino e Paolo che si intrattengono con discorsi un po’ strani su bombe, opere d’arte, merendine avvelenate e siringhe infette sulla spiaggia di Rimini.

Giovanni è Giovanni Brusca, “ù verru”, feroce capomafia di San Giuseppe Jato. Nino è Antonino Gioè, luogotenente di Totò Riina, morto suicida in carcere, appeso alle sbarre della sua cella con i lacci delle scarpe. E Paolo ‘ Chi è Paolo ? ‘

Sulle prime colline alla porte di Reggio Emilia, nelle giornate limpide di primavera lo sguardo corre veloce su tutta la pianura padana fino a sbattere contro i primi contorni delle Alpi.

Qui a due passi dal castello che fu di Matilde di Canossa, negli anni settanta la famiglia Bellini gestiva un albergo con annessa piscina coperta. Uno dei figli insegnava ai ragazzini del circondario che salivano lassù i trucchi per rimanere a galla. Un tipo un po’ spaccone, di quelli a cui piacciono le vanterie facili, come ce ne sono tanti. Oggi se chiedi a qualcuno di quei ragazzini, ormai uomini fatti, se avessero mai potuto immaginare il destino del loro ex istruttore, la risposta è uno sguardo smarrito. Sì, perchè nessuno, neanche il migliore dei giallisti avrebbe potuto indovinare allora, la strana storia di Paolo Bellini.

L’inizio della trama è ambientato in un’officina di provincia. E’ il 22 settembre 1976. Paolo entra e saluta tranquillo il fidanzato della sorella, poi gli scarica addosso 5 colpi di pistola e se ne va.

Viene spiccato un mandato di cattura per tentato omicidio (nonostante i colpi ravvicinati il meccanico non muore). Bellini non si trova. E’ l’inizio della latitanza di quello che sulle cronache locali diventerà “la primula nera”. L’attribuzione cromatica gliela appioppano per le sue frequentazioni con gli ambienti di destra, certificate nero su bianco in un paio di rapporti di polizia. Prime pagine per qualche tempo, poi niente sviluppi quindi niente articoli. Paolo Bellini non ha sulla coscienza neanche un cristiano spedito all’altro mondo e i giornali, che campano con ben altre miserie, mandano giù il sipario.

Nel marzo del 1981 a Pontassieve vicino Firenze viene arrestato per un traffico di mobili antichi un ragazzotto di nome Roberto Da Silva, cittadino brasiliano. Nelle foto segnaletiche si nota subito la singolare somiglianza con Lucio Battisti. Per accorgersi invece che quel tizio è sputato al centesimo Paolo Bellini ci vorranno altri dieci mesi.

Viene così fuori la latitanza in Sudamerica, meta preferita in quegli anni da settori dell’eversione di destra. Un’esistenza clandestina non proprio all’insegna di stenti e privazioni. In Brasile Bellini aveva avuto tutto il tempo di diventare padre una seconda volta e di far battezzare il figlio alla presenza del fratello e di un parroco emiliano appositamente giunti dall’Italia. Ci si domanda chi gli abbia coperto la fuga in quegli anni e la risposta torna frequente : servizi segreti. Una risposta inquietante anche alla luce di quello che accade sempre in quel 1981, quando viene indagato nell’ambito dell’indagine sulla strage di Bologna. Una affittacamere lo ricorda in città proprio nei giorni antecedenti alla strage. Lo spunto investigativo non porta a nulla. E’ la prima volta che entra nella storia d’Italia. Non sarà l’ultima.

Intanto comincia il suo peregrinare tra le carceri di mezz’Italia, quelle che anni più tardi chiamerà le sue “università del crimine”. Finisce a Sciacca e come compagno di cella si ritrova uno che battezza subito come “un uomo di massimo rispetto”. Quell’uomo è Antonino Gioè.

Di quell’amicizia si ricorderà all’inizio degli anni novanta una volta uscito dal carcere. Bellini si mette a lavorare per una ditta di recupero crediti e quando l’incaricano di riprendersi i soldi da alcune imprese siciliane gli viene in mente il vecchio amico.

Comincia così una strana e assidua frequentazione. Del recupero crediti si smette di parlare quasi subito. Quello che interessa a Paolo sono le opere d’arte. Per i suoi trascorsi si era fatto una fama di intenditore e la cosa interessava talvolta anche gli sbirri. Un maresciallo dei Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Artistico gli aveva chiesto di interessarsi al ritrovamento di alcuni quadri rubati dalla Pinacoteca di Modena. Bellini non ci pensa due volte e chiede aiuto all’uomo “di massimo rispetto”.

E’ insistente. Spiega al mafioso che dietro il ritrovamento di un’opera rubata c’è sempre un accordo con lo Stato, uno scambio di favori. Millanta amicizie importanti e agganci giusti. Gioè è uno sveglio e intuisce al volo l’occasione. Prende tempo. Si interessa della faccenda, anzi interessa gli stessi vertici di Cosa Nostra, passando da Brusca per arrivare a zu Totò. Intanto saltano in aria Falcone e Borsellino.

Nino considera quel Bellini uno “strano”. Sente di odore di servizi e glielo sbatte in faccia “Mica lavorerai per i servizi segreti ‘”. Paolo nega.

Arriva il 41bis. Cosa Nostra ora sa cosa vuole come contropartita. Gioè consegna un bigliettino con sopra cinque nomi : è il gotha di Cosa Nostra dietro le sbarre. Benefici carcerari per pezzi da novanta come Bernando Brusca, Luciano Leggio, Pippo Calò.

Il gioco si fa pesante e saltano fuori gli strani discorsi di cui si diceva : mettere in ginocchio il turismo, una bomba sulla Torre di Pisa, le siringhe a Rimini, colpire i monumenti perchè quelli non li sostituisci come i giudici. A questo punto è difficile stabilire “chi abbia detto cosa”. Bellini sostiene che fu tutta farina del sacco di Gioè. Per Giovanni Brusca, il reggiano non era un mandante che diceva “fate questo o fate quello”, era più uno che dava suggerimenti “se fate questo succede quest’altro”. Per i giudici di Firenze l’effetto (consapevole o in inconsapevole) fu quello di “focalizzare l’attenzione di Brusca, Bagarella, Riina (e delle altre persone che ruotavano intorno a costoro) sui beni del patrimonio artistico nazionale.”

Bellini cerca coperture. Va dal maresciallo del Nucleo Tutela del Patrimonio e gli racconta tutto, anche la storia della Torre di Pisa: “con centinaia di morti sarebbe finito completamente il turismo italiano, perché gli stranieri non verrebbero più a visitare i nostri monumenti e le nostre cose. Per cui sarebbe un effetto effettivamente destabilizzante”.

Dice di essere disposto ad infiltrasi nella mafia, ma ha bisogno di un gesto di “accredito” : carcere meno duro almeno per uno dei nomi della lista. Il carabiniere risponde che non è nei suoi poteri e che riferirà più in alto.

Va così alla scrivania di quello che una volta era stato un suo diretto superiore, ora a capo del ROS : il colonnello Mori e (a quanto dice il maresciallo) gli racconta tutto. E’ la fine di agosto del 1992. Nove mesi dopo saltano in aria una dopo l’altra, via dei Georgofili, via Palestro, San Giorgio al Velabro, San Giovanni in Laterano. E’ l’attacco di Cosa Nostra al cuore del patrimonio artistico italiano. Quarantotto ore dopo gli ultimi attentanti, il 29 luglio del 1993 nel carcere di Rebibbia Antonino Gioè imprime in sette fogli fitti fitti i suoi ultimi pensieri su questa terra.

Ma a quel punto Bellini non è più della partita. I suoi contatti con la mafia si interrompono nel dicembre del 1992. La trattativa si era arenata. Cosa Nostra aveva trovato, a quanto pare, canali più affidabili per parlare allo Stato.

Quello fin qui raccontato potrebbe bastare per due vite intere, ma non per la primula nera. La sera del 3 giugno del 1999 una ventina di poliziotti armati fino ai denti fanno irruzione nel ristorante “il Capriolo”. Cercano, manco a dirlo, proprio lui. Tenta la fuga ma lo acchiappano in due minuti. E’ accusato di essere il principale responsabile dei delitti che hanno sconvolto Reggio Emilia tra il dicembre 1998 e l’aprile del 1999, catapultando la città emiliana in un clima di terrore. Due omicidi a sangue freddo, un tentato omicidio, un tentata strage con una bomba a mano in un bar. Era diventato, grazie al suo ultimo soggiorno nelle patrie galere, un killer dell’ndrangheta.

Si decide a vuotare il sacco e anche di più. Sulla scelta di pentirsi ci mette in mezzo Padre Pio. Ricostruisce le infiltrazioni della criminalità organizzata in città, indica i presunti mandanti degli omicidi, accusa i suoi complici. Ammette omicidi lontani nel tempo. Ma non si ferma qui, e riapre capitoli misteriosi e dolorosi.

Confessa ai giudici l’omicidio di Alceste Campanile, rimasto irrisolto dal quel 13 giugno 1975, quando lo studente universitario di 22 anni e militante di ‘Lotta Continua’ (con un passato ‘a destra’) fu trovato cadavere sulle rive del fiume Enza.

Poi parla anche di Bologna. A modo suo, con quello stile che fa sembrare ogni suo verbale la trama di un improbabile spy-game. ‘Forse, può darsi che io abbia avuto un contatto con un servizio segreto, si, può darsi, effettivamente. Dovevo avere un contatto con un uomo dei servizi segreti, non ci sono andato perché io nella trappola dei servizi segreti non ci sono mai caduto’. Tramite di quell’incontro doveva essere suo padre che in punto di morte gli confida : ‘quello era un incontro importante. Sai perché era importante’ Perché qualcheduno voleva farti inserire nel sistema per scoprire se era vero che Bologna era un effetto di Ustica’.

Difficile dar credito alle sue parole, ma se questi siano accenni di verità, depistaggi o semplicemente le ennesime vanterie di quello spaccone che una volta insegnava ai ragazzini a stare a galla, forse solo Padre Pio può dirlo.

ADSL e digital divide di provincia

Brusco mi guarda scuro mentre manda giù il terzo frizzante. Non ha tutti i torti. Vai a parlare di banda larga al Bar dello Sport (si chiama proprio così, niente licenza poetica) nella profonda provincia italiana e questi sono i risultati : bassi sfregamenti e corsa alla prima particella di ferro nei paraggi. Da queste parti l’unica banda larga che si conosce è quella che occupa trequarti della carreggiata al passo lento e basculante dell’Ave Maria di Schubert o dell’Internazionale (a seconda delle frequentazioni) il giorno che decidi di salutare tutti e tirare le cuoia. Altro che adsl e fibre ottiche.

Nell’autunno del 2002 i dati sciorinati dell’Amministratore delegato di Telecom Italia Riccardo Ruggiero parlavano chiaro : 2.100 centraline abilitate alla tecnologia ADSL (il minimo sindacale per poter parlare di banda larga) , 1.300 comuni coperti, il 74% della popolazione in grado di fruire del servizio. Niente male si direbbe, tenendo conto però che il totale delle centraline è 10.500 o giù di lì e che i Comuni italiani sono 8.101. Tirando le somme mancano all’appello 6.800 comunità. L’importante comunque è che l’ADSL possa raggiungere i trequarti di italiani.

Se Brusco avesse ascoltato l’Amministratore gli sarebbe tornato alla mente quel tipo di città che per qualche tempo aveva bazzicato dalle parti del bancone facendo sfoggio di un numerosissimo campionario di vanterie. Era stato 5 anni nella legione straniera, per 6 aveva fatto lo skipper alle Barbados, per 3 aveva allenato la nazionale di calcio dell’Ecuador ( e che gran gioco !), per 4 era stato personal trainer di Madonna, nonchè, detto sottovoce…autore di un paio di sue canzoni e via discorrendo. Il giorno che Brusco si scocciò si mise davanti a tutti a far di conto e a stabilire che per aver combinato tutto quel ben di dio il tizio avrebbe dovuto avere su per giù 57 anni. Cartà d’identità alla mano ne faceva 34 a gennaio.

Ecco a far di conto alle volte si capiscono certe cose. Gli italiani sono 57.844.017 (censimento 2001) e quindi il 74% è pari a 42.804.572 anime. Se solo si mettono in fila i 1.300 comuni italiani più popolosi, ricordando che non tutti sono coperti da ADSL, si arriva a malapena a 40 milioni. Volatilizzati in un colpo al minimo 2 milioni e mezzo di testoline, circa il 5%. Prima magagna.

Ma non è finita, tocca ancora decurtare. Coprire un Comune non vuol dire raggiungere tutti gli abitanti. Una Stadio di Linea (alias centralina per quelli meno tecnologici) può coprire con efficacia solo una parte del territorio e quindi addiò a certe periferie dimenticate, addio alle frazioni e ai borghi, soprattutto addio al 74%.

E oggi ad un anno di distanza come stiamo messi ‘ Per il Ministro Stanca, bene, benissimo. Si dice che siamo al boom della Banda Larga, che gli italiani si precipitano alla nuova Mecca della Rete high-speed, always on. Può essere, di certo non da queste parti, che sono poi le parti di un bel po’ di gente.

Giocando con il pallottoliere e con gli ultimi dati di luglio 2003 le cose si mettono così : dei 138 centri con più di 50.000 abitanti, tutti sono coperti, 100% al calduccio. Nei Comuni tra i 10.000 e i 50.000 residenti la percentuale scende all’onesta cifra del 87% (vai a spiegare ai 48.000 di Torre Annunziata perchè stanno ancora aspettando), mentre nelle cittadine che ne contano tra 5.000 e 10.000 ci si ferma al 52%.

Poi arriva l’abisso. Nei 5.800 e rotti Comuni con meno di 5.000 abitanti i fortunati sono in tutto 378, il 6,4%. Lo chiamano ‘digital divide’ e la prossima volta che ne sentirete parlare non immaginatevi villaggi africani o lande sperdute della Mongolia. Parlano della provincia italiana, parlano di voi.

Parlano di quelli che ogni due mesi accendono il cero all’arrivo della bolletta. Quelli che in questi anni sono passati dall’abbonamento + tariffa urbana, all’avvento dell’internet free, al colossale, anzi galattico, miraggio della flat rate.

E nonostante tutto ci credono ancora.

Ci credono ancora anche perchè in questi mesi, in verità, qualcosa si è mosso : le centraline abilitate sono diventate 2.994 e i Comuni coperti 1.960. Ma oggi pare tutto fermo, ‘la copertura pianificata’ immobile. Semafori rossi dappertutto. Si spera con ansia in una nuova infornata. Chi parla di 100, chi di 200, chi di 500. Numeri buoni per la lotteria. Roba decisamente improbabile. Per abilitare una centralina alla tecnologia ADSL è necessario montare un ambaradam piuttosto costoso e per un bacino d’utenza di 5.000 anime, neonati compresi, pare non ci sia molta convenienza.

Intanto da queste parti si aspetta e ci si attacca a tutto. Leggi di gente che si è messa a raccogliere tra i vicini e conterranei centinaia di firme per mendicare a Telecom la copertura e allora ti immagini un po’ patetico a rompere le balle ad amici e parenti con mail, telefonate, fax e moduli a tutte le occasioni, feste comandate comprese.

Senti di quel tale che ha massacrato call center e dirigenti per un anno e mezzo, giorno e notte, e alla fine pare ce l’abbia fatta, ma non si sà se per sfinimento o semplice culo. Ecco il fondoschiena deve per forza giocare un ruolo in tutto questo, se no non ti spieghi come Aisone o Conca Casale, che non fanno manco 300 residenti, siano abilitati.

Ma la buona volontà e la dea bendata non bastano. Dicono in giro che serve l’aiutino, e così ti ritrovi a sperare che nei paraggi abbia messo su casa il senatore, sottosegretario o gran commis e che il figliolo del sopraindicato abbia voglia di scaricarsi in tutta tranquillità e velocità l’ultimo LP del momento.

Vita grama, tecnologicamente parlando, quella dei forzati del dial-up che così a naso l’Adsl non la vedranno tanto presto, forse mai. Conviene, come dice qualcuno, aspettare il prossimo giro e puntare direttamente al cavo e alla fibra, magari spinti fin qui, nelle remote terre, da un paccata di fondi pubblici.

Nel frattempo, consiglia Brusco, tenere duro ed evitare se possibile quelli dell’Ave Maria e dell’Internazionale.

Abdullà, uno di noi

Abdellah el Koulani, 49 anni, marocchino è morto dopo una settimana di agonia in seguito alle ferite riportate in un incidente stradale in sella al suo motorino.

Un trafiletto come tanti, in una pagina interna di un giornale di provincia. Eppure dietro si nasconde una piccola storia che fa a cazzotti con gli editoriali delle grandi firme sui grandi quotidiani. Una storia che cancella in un attimo la rabbia e l’orgoglio di un mondo sbirciato dall’attico di un grattacielo. Una storia che manda in cortocircuito le due parole magiche di questo tempo : scontro di civiltà.

Abdellah qui tutti lo chiamavano Abdullà, perchè in questo angolo di provincia emiliana, immerso nel parmigiano e nel lambrusco, c’è la stramba frenesia di incollare soprannomi e nomignoli ad ogni angolo.

S’era fermato da queste parti nel 1990, alla fine di un percorso comune a molti di quelli che chiamiamo migranti. Aveva girato mezz’Europa, tutt’Italia. Mille lavori, nessun lavoro. Clandestino, irregolare. Le difficoltà di una vita che fatichi a comprendere se non hai passato almeno una notte su una panchina di una stazione. Poi le cose avevano cominciato a girare per il verso giusto.

A 12 anni di distanza era diventato per tutti al scarpulein. Per chi ha scarse frequentazioni col dialetto locale, al scarpulein è quello che aggiusta le scarpe. Un mestiere che non esiste quasi più. Antico, polveroso. Abdullà rattoppava suole e incollava tacchi nella sua bottega al centro del paese, in un mondo in cui le scarpe le butti via dopo sei mesi.

Una mano ad avviare gli affari gliela aveva data anni prima il suo coinquilino : un prete. Sì perchè Abdullà, musulmano osservante, da sempre viveva in canonica, nella stanza che era stata delle perpetue. Condivideva con don Gianni Lasagni pranzi e cene, chiacchere e riflessioni, briscole e discussioni. Sotto lo stesso tetto, ogni giorno che Dio o Allah decideva di mandare in terra.

Negli ultimi tempi aveva ottenuto una casa popolare, stava per portare in Italia la moglie e la piccola Miriam. L’aveva chiamata così perchè diceva che era un nome che andava bene per tutti, qui in Italia e là in Marocco . Non ha fatto in tempo. Una strada di provincia emiliana se l’è portato via.

Per lui musulmano, l’ultimo ricordo prima del ritorno in Marocco in una messa di suffragio in una chiesa stracolma.

A chi osserva da lontano, tutto questo può sembrare forse un poco straordinario. Un esempio di integrazione, di convivenza. A chi osserva dalle colonne di un quotidiano o dall’attico di un grattacielo forse sembra solo una storia di provincia e un’eccezione alla regola.

Ma per la gente di qui che ogni giorno lo incrociava per due chiacchere , solo un saluto o per una scarpa rotta, Abdullà non era nè un esempio nè un’eccezione. Era soltanto uno di loro e questo bastava.