Abdullà, uno di noi

Abdellah el Koulani, 49 anni, marocchino è morto dopo una settimana di agonia in seguito alle ferite riportate in un incidente stradale in sella al suo motorino.

Un trafiletto come tanti, in una pagina interna di un giornale di provincia. Eppure dietro si nasconde una piccola storia che fa a cazzotti con gli editoriali delle grandi firme sui grandi quotidiani. Una storia che cancella in un attimo la rabbia e l’orgoglio di un mondo sbirciato dall’attico di un grattacielo. Una storia che manda in cortocircuito le due parole magiche di questo tempo : scontro di civiltà.

Abdellah qui tutti lo chiamavano Abdullà, perchè in questo angolo di provincia emiliana, immerso nel parmigiano e nel lambrusco, c’è la stramba frenesia di incollare soprannomi e nomignoli ad ogni angolo.

S’era fermato da queste parti nel 1990, alla fine di un percorso comune a molti di quelli che chiamiamo migranti. Aveva girato mezz’Europa, tutt’Italia. Mille lavori, nessun lavoro. Clandestino, irregolare. Le difficoltà di una vita che fatichi a comprendere se non hai passato almeno una notte su una panchina di una stazione. Poi le cose avevano cominciato a girare per il verso giusto.

A 12 anni di distanza era diventato per tutti al scarpulein. Per chi ha scarse frequentazioni col dialetto locale, al scarpulein è quello che aggiusta le scarpe. Un mestiere che non esiste quasi più. Antico, polveroso. Abdullà rattoppava suole e incollava tacchi nella sua bottega al centro del paese, in un mondo in cui le scarpe le butti via dopo sei mesi.

Una mano ad avviare gli affari gliela aveva data anni prima il suo coinquilino : un prete. Sì perchè Abdullà, musulmano osservante, da sempre viveva in canonica, nella stanza che era stata delle perpetue. Condivideva con don Gianni Lasagni pranzi e cene, chiacchere e riflessioni, briscole e discussioni. Sotto lo stesso tetto, ogni giorno che Dio o Allah decideva di mandare in terra.

Negli ultimi tempi aveva ottenuto una casa popolare, stava per portare in Italia la moglie e la piccola Miriam. L’aveva chiamata così perchè diceva che era un nome che andava bene per tutti, qui in Italia e là in Marocco . Non ha fatto in tempo. Una strada di provincia emiliana se l’è portato via.

Per lui musulmano, l’ultimo ricordo prima del ritorno in Marocco in una messa di suffragio in una chiesa stracolma.

A chi osserva da lontano, tutto questo può sembrare forse un poco straordinario. Un esempio di integrazione, di convivenza. A chi osserva dalle colonne di un quotidiano o dall’attico di un grattacielo forse sembra solo una storia di provincia e un’eccezione alla regola.

Ma per la gente di qui che ogni giorno lo incrociava per due chiacchere , solo un saluto o per una scarpa rotta, Abdullà non era nè un esempio nè un’eccezione. Era soltanto uno di loro e questo bastava.