Ciubecca a Lobuche

Lobuche son quattro case di sasso buttate in mezzo alla polvere, li’ dove il grande ghiacciao del Khumbu si curva ad est.

Dentro al piccolo lodge, in pochi metri quadri, le lingue si sprecano e le razze si confondono. Gli indiani benestanti, le guide nepali cotte, gli italiani caciaroni, gli occidentali freak, i coreani imperturbabili. E tanto altro.

Quando dalla porta entra, quasi chinandosi a terra, il tedesco lungo lungo e dal capello sparpagliato e dalla barba incolta, a tutti pare entrato Ciubecca in persona.

E la scena da interporto di Guerre Stellari e’ quindi completa.

Respiri piano per non far rumore

Sopra i 4.000 metri abbondanti dormire diventa sempre piu’ complicato. Tutto diventa sempre piu’ complicato. Anche cose semplici come respirare.

Le apnee notturne sono una esperienza brusca e perfino poco raccomandabile.

6 respiri e poi non arriva il settimo. Chissa’ perche’.

Noi mammiferi pallidi e coccolati dobbiamo arrenderci all’evidenza, non siamo fatti per vivere troppo a conttatto con il cielo.

Possiamo solo assaaggiarlo un po’.

Loro la torcia, noi la bandiera

<%image(DSC_0353.JPG|518|774|torcia everest tibet)%>Il Renjo La e’ uno straordinario balcone sul tetto del mondo. Dai suoi 5.400 e passa metri poi guardare dritto negli occhi gran parte dei colossi himalayani.

Mentre i cinesi si dannano l’anima per portare la torcia olimpica su un simbolo come l’Everest, noi portiamo quassu un altro piccolo simbolo. Tutto nostro e molto sentito.

Lo trovate nelle foto.

<%image(DSC_0361.JPG|851|570|torcia everest bandiera pace)%>Per chi non fosse pratico di profili himalyani, quello li’ dietro alle bandiere e’ l’Everest o come lo chiamano i tibetani, il Chomolangma

Nangpa La

Piu’ si sale piu’ si capisce, meglio si intuisce, la potenza della natura, quasi la prepotenza su tutto il resto. Ovvero su di noi piccoli mammiferi.

Ci si sente piccoli rispetto al tutto. E ci si sente poco eterni.

La valle di Thame mentre perde i suoi pochi gruppetti di case diventa piu’ che selvaggia.

Lassu’, che ancora non si intravede, il passo del Nangpa La.

E’ un po’ anche per lui che sono qui.

Studiato sulle cartine, guardato nelle poche foto.

Il Nangpa La per secoli e’ stato “l’autostrada” degli sherpa.

Via di commercio tra l’altopiano tibetano e il Nepal, riservata in esclusiva al popolo sherpa dai sovrani nepalesi.

Dal 1959 il governo cinese ha chiuso il transito a tutti. Solo poche caravane di yak attraversano il passo con la stagione buona.

Dal 1959 questo passo di ghiaccio e rocce a 5.700 metri e’ diventato la via principale di fuga dei profughi tibetani che, via Nepal, cercano di raggiungere il Dalai Lama in India.

Uomini, donne, ragazzi e anche bambini. Intere famiglie. Rischiano un viaggio incredibile con scar[ette da ginnastica e qualche maglione. Chi non muore di freddo o dentro un crepaccio, chi non rimane accecato dal riverbero del ghiacciaio il piu’ delle volte incappa nelle sempre piu’ frequenti pattuglie cinesi.

Nell’ ottobre del 2006 alcuni alpinisti occidentali fermi al campo base del Cho Oyu hanno ripreso quella che si puo’ definire una vera e propria esecuzione di alcuni esuli tibetani da parte di soldati cinesi.

Le autorita’ di Pechino hanno definito l’episodio come “incidente”.

Giudicate voi.

Impianto di riscaldamento

La vecchia signora e’ piccola. Quasi minuscola.

Nella cesta sulle spalle non c’e’ ancora molto. Ma si china spesso e presto il doko si riempira’.

E’ un carico prezioso per certe altezze. E’ un carico che permette di scaldare le sere piu’ fredde dell’Himalaya.

Sopra i quattromila metri non ci sono piu’ alberi e per riscaldarsi si usa merda di yak dentro la stufa.

Si avete capito bene: riscaldamento a merda.

Poco elegante ma efficace.

Ve lo posso assicurare.

Appa Sherpa

<%image(arpa sherpa.JPG|778|583|arpa sherpa)%>La valle di Thame e’ stata aperta agli stranieri solo nel 2005. Rimane, nella zona del Solu-Khumbu, quella meno frequentata e piu’ intatta. Pochi ‘traffico’, meno visi pallidi, pochi lodge. Uno dei piu’ frequentati, si fa per dire, e’ quello della piccola leggenda locale: Appa Sherpa.

Questo omino ( lo vedete in foto) con l’aria da ragionere, e’ uno che si e’ fatto 17 volte su e giu’ dall’Everest. Questo saliscendi faticoso gli procura adesso buoni affari e molti sorrisi, a cui lui ricambia sempre con grande cortesia.

Uno scatto anche per noi che di saliscendi non ne abbiamo fatto neanche uno.

Le suorine di Thamo

<%image(DSCN1661.JPG|795|596|thamo monastery)%>Ci sono certi viaggi e in questi viaggi ci sono certi momenti. Uno di questi momenti e’ a Thamo, piccolo gruppo di anime a 3.500 metri sulla sentiero polveroso che porta a Thame (poca fantasia per i nomi, lo so).

Qui, in questo piccolo angolo di mondo c’e’ un piccolo monastero, una stanza appena, affidata alle cure di un gruppo di monache tibetane in esilio. Gentili, premurose, dagli occhi dolci. Ci invitano a prendere il the dentro questo angolo di Tibet salvato dal tempo, dal progresso e dai cinesi.

Gran parte delle preghiere nella cassettiera sul muro infatti sono state trafugate dall’ altopiano tibetano dal lama locale dopo il 1959 e l’inizio della occupazione.

La “suorina” piu’ vecchia ci offre i biscotti. Al braccio porta il lutto per i fatti di Lhasa del marzo scorso.

Ci guardiamo curiosi, ci ascoltiamo curiosi, con Ngima che prezioso ci traduce.

L’acqua nelle decine di tazze dorate e’ fresca e chiara. Cosi’ deve essere.

<%image(DSCN1666.JPG|795|596|thamo nuns)%>Il the fuma davanti alle nostre facce e il tempo corre veloce. Vorremmo stare qui, sospesi, per molto ancora ma e’ tempo di andare.

Facciamo la nostra offerta.

Il minimo per salvare questo piccolo mondo dal resto del mondo grande la’ fuori.

Le “suorine” pregheranno per noi perche’ quello e’ il loro compito.

Se andra’ tutto bene, come credo, ci sara’ anche il loro zampino.

Ci salutiamo da lontano con un ultimo grande sorriso.

Certi momenti valgono certi viaggi.