La guerra fredda

Alì Babà portava il sombrero. Detta così suona strana, ma è vero.

Era largo e fuori misura, ma faceva parata.

C’attaccava roba strana, per lo più soldi di paesi lontani.

Non c’aveva tesori Ali Babà ma si portava dietro le Bombe.

Se chiedi di lui ad uno di Rimini che ha passato i quaranta gli fai venire il magone e una botta di nostalgia. Altro che Proust e la sua madeleine.

Alì Babà c’aveva le “Boooombe” (urlato bene) che vendeva a piccoli e grandi su e giù per i chilometri di sabbia della spiaggia più famosa d’Italia.

Le Bombe erano poi i ghiaccioli, dei signori ghiaccioli. Li producevano in un angolo della Romagna con quella forma lì strana ed elegante.

Dieci anni fa il titolare dell’azienda stava per smettere quando due giovani imprenditori hanno preso in mano l’attività e rilanciato il marchio.

Il prodotto era ottimo e con quell’effetto nostalgia molto potente. Una madeleine ghiacciata appunto.

Il problema è che le piccole Bombe non servono a molto contro le divisioni corazzate delle multinazionali, in questo caso Unilever, che attraverso il marchio Algida controlla circa il 70% del mercato della vendita del gelato singolo confezionato (per intenderci quello dei bar).

Algida fa un ghiacciolo, il Freddolone, che a detta degli stessi distributori ed esercenti non è neanche lontano parente con la qualità delle Bombe. E così il gigante Unilever (che solo in Italia fa 1,5 miliardi di fatturato) non ha pensato di produrre un ghiacciolo migliore, ma ha iniziato a fare la guerra ai quei quattro disgraziati che fanno gelati a Santarcangelo di Romagna (meno di un milione di euro di fatturato).

Una guerra fatta di colpi bassi. Se un bar si azzardava a mettere una Bomba dentro ad un frigo Algida veniva punito: via sconti, frigo e prodotti. Se un bar posizionava il frigo fornito da quelli delle Bombe, stessa cura.

Il vostro prodotto è migliore, i clienti lo cercano e si vende bene, ma non posso tenerlo perchè non posso perdere Algida.” Erano di questo tipo le risposte che i “ghiacciolai” si sentivano dare dai baristi.

Se non bastava Unilever andava dalle associazioni di categoria, come quella degli stabilimenti balneari (grande luogo di consumo), e intimava di fare pressioni sui propri associati per mettere alla porta quelli della Bomba. In caso contrario Unilever avrebbe tagliato i lauti contributi che forniva alle associazioni stesse ogni anno. Minaccia che funzionava benissimo perché in alcuni casi i contributi di Unilever rappresentavano il 50% delle entrate delle suddette associazioni.

Se il bastone non bastava, Unilever andava avanti con la carota, arrivando ad offrire in certi casi sconti ulteriori del 30% per tenere fuori le Bombe.

Soldi, ricatti e sgambetti che sono venuti alla luce ieri, dopo che l’Antitrust ha sanzionato Unilever per posizione dominante, con una multa di 60 milioni di euro (sessanta milioni seicento sessantottomila cinquecentottanta euro, per la precisione), grazie alla segnalazioni, partite nel 2013, da quelli là di Santarcangelo.

Sessanta milioni di euro forse per Unilever non son molti, ma sul sombrero di Alì Babà, un assegno così, avrebbe fatto una gran parata.

Boooooomba.

Un Commento

  1. Giusto oggi ho letto la notizia ma era data in maniera asettica. C’era tutto quel che bastava: la multa a Unilever (che presenterà ricorso) per “strategia escludente”, l’istruttoria partita dalla segnalazione di un piccolo produttore locale, la curiosa definizione di “mercato del gelato preconfezionato monodose da impulso”. Mancava però la storia, una di quelle “storie minime da ripagare”. Grazie ancora!

I commenti a questo articolo sono chiusi